Tanto fumo (ma non si può dire). Nello sfarzo di Dubai si decidono i destini della Terra, diagnosticata febbricitante. Ma al netto delle quintalate di retorica (“accordo storico”, “evviva”, e peana vari) venute fuori al termine della Cop28, la Conferenza sui cambiamenti climatici che infiniti lutti addusse al nostro pianetino, con le dichiarazioni finali alle quali si è arrivati non senza gaffe e polemiche nel corso di questi giorni emiratini, le perplessità (enormi) restano.
Partiamo dal nocciolo della questione: lo stop ai combustibili fossili. Che a scriverlo sulle copiose slides è un attimo, poi però ti accorgi che l’obiettivo 2050 a zero emissioni appare una catena montuosa da scalare in shorts e magliettina della salute. Andando a leggere bene vengono fuori le prime perplessità, a cominciare dalla terminologia adottata: dal “phase out” (eliminazione) al “transition away”, che per chi mastica un po’ di inglese fa tutta la differenza del mondo, il nostro. Non è soltanto una questione squisitamente terminologica, ma di approccio. Si tratta a ben vedere di una pacca sulla spalla, di una gentile concessione che si fa ai Paesi produttori, ai colossi fossili.
Poi come al solito c’è sempre un ditino che si alza dall’ultimo banco in fondo a destra che chiede con una certa innocenza: sì, ma chi paga?
Già, il tema economico che si staglia come la testa di Nessie fra la foschia di un lago denso di promesse. Nel testo si legge infatti che il “fabbisogno finanziario per l’adattamento dei Paesi in via di sviluppo è stimato in 215-387 miliardi di dollari fino al 2030” e che “è necessario investire circa 4,4 miliardi di dollari all’anno in energia pulita fino al 2030, aumentando poi la cifra al 5mila miliardi di dollari all’anno fino al 2050”.
Quisquilie. Questo Eden immaginario custodito nel libro dei sogni di Dubai come può materializzarsi, soprattutto per i Paesi in via di sviluppo? Davvero in 27 anni, che sono già domani, si pensa che verranno annullati completamente i combustili fossili in questa transizione ecologica? E poi, perché solo sulle spalle della povera Europa e dell’Occidente?
Suvvia, al netto di auto elettriche, ventarole arrugginite, mulini e condotte forzate, è impensabile che nel mix energetico globale possano scomparire come una bolla di sapone i famigerati combustibili fossibili che, si ricorda, in percentuale sono ad oggi intorno all’80 per cento, una quota che realisticamente potrebbe abbassarsi al 70-60 per cento fra quasi trent’anni. Nel fabbisogno energetico mondiale siamo ancora dipendenti dai fossili e non è da escludere che la quota aumenterà, soprattutto per quei Paesi in via di sviluppo che in qualche modo dovranno “accendersi”. Le sole rinnovabili non saranno mai sufficienti, è bene scriverlo a chiare lettere, soprattutto se non si farà un uso massiccio del nucleare, moderno, sicuro, efficiente.
Dietro la Cop28, perciò, manca la luce del buon senso che aiuta a guardare in faccia la realtà.
Aggiornato il 15 dicembre 2023 alle ore 10:00