Sul femminicidio ha ragione Crepet

In merito al surreale dibattito sul patriarcato, di cui in molti si riempiono la bocca senza spiegare chiaramente cosa significhi in concreto, mi trovo perfettamente d’accordo con una frase espressa da Paolo Crepet, in diretta televisiva, mentre si commentavano i funerali della povera Giulia Cecchettin: “Io credo nelle persone, quindi spero che il genere inteso come genetica conti poco. Contano le persone, sennò torniamo indietro. Sennò siamo ai grembiulini rosa e quelli azzurri. Io non voglio tornare a quel mondo lì che ho visto”. Ora, sebbene non mi sia trovato molto in sintonia con il noto psicoterapeuta in alcune sue analisi relative a un delitto che ha raggiunto livelli di interesse senza precedenti, in questo caso la sua affermazione aiuta a definire e contestualizzare il fenomeno della cosiddetta violenza di genere, fin troppo strumentalizzato da una ben precisa parte politica.

Partendo, infatti, dal concetto di responsabilità individuale, che nel caso dei cosiddetti femminicidi riguarda un numero assai piccolo di soggetti maschili nella stragrande maggioranza dei casi (tant’è che l’Italia si trova agli ultimi posti nel mondo per questa fattispecie di reato), risulta ancor più evidente l’assurda campagna mediatica portata avanti dalle frange più estreme del movimento femminista, tendente a criminalizzare tutti i soggetti di sesso maschile, considerati portatori di quella presunta cultura patriarcale che starebbe alla base dell’atto insensato commesso da Filippo Turetta. A tale proposito, proprio per avere un quadro più completo, mi sembra interessante citare alcuni dati relativi agli omicidi commessi in Italia nel 2019. Ebbene su 315 omicidi, di cui due terzi hanno riguardato vittime maschili, l’Istat rileva il coinvolgimento di 69 soggetti femminili.

Si tratta, ovviamente di piccoli numeri, in rapporto a una popolazione di circa sessanta milioni di abitanti. Mentre gli ultimi dati sui femminicidi, forniti dal Ministero dell’Interno, riportano un totale di 106 vittime, di cui 87 uccise in ambito familiare o affettivo e, di queste, 53 sarebbero morte per mano di un partner o di un ex, come nel caso Cecchettin. Ora di fronte alla reale dimensione del fenomeno, che viene dipinto come una piaga sociale di estrema gravità, vorrei chiudere questo breve commento con una semplice domanda: risulta più sensato mettere sul banco degli imputati l’intera platea maschile di questo disgraziato Paese o, come si deduce dal ragionamento di Crepet, occorre riportare la questione su un piano in cui ciò che conta è la responsabilità individuale, a prescindere dal genere sessuale di appartenenza?

Aggiornato il 07 dicembre 2023 alle ore 10:10