“Educazione alle relazioni”: la tomba della scuola

Il ministro Giuseppe Valditara presenta dunque al Parlamento il suo progetto per introdurre nelle scuole italiane la nuova disciplina, denominata “educazione alle relazioni”, allo scopo di combattere ogni tipo di violenza e soprattutto quella di genere.

Sulla scorta del metodo ideato a metà del secolo scorso dall’analista clinico Michael Balint, in modo specifico per i medici, si formeranno su iniziativa dei presidi gruppi di studio di una dozzina di giovani. Riunendosi ogni quindici giorni, con l’aiuto dei dirigenti scolastici, di psicologi e di sociologi, allo scopo di favorire nei ragazzi la nascita della “autoconsapevolezza”, tali gruppi si collocheranno come “facilitatori del pensiero”. In questo modo, si pensa che la violenza sulle donne possa essere arginata convenientemente.

Io invece penso si tratti dell’ennesima sciocchezza messa in opera da chi, non sapendo cosa fare, farebbe qualunque cosa – compreso questa – pur di non farsi accusare di non fare nulla.

Peccato che un ministro di questo governo non sia riuscito a resistere alle geremiadi della cultura politica di sinistra, la quale, come è noto, non può fare a meno di gruppi, collettivi, riunioni, assemblee, veglie, fiaccolate, ma tutte e ciascuno affidate ai soliti esperti pronti all’uso e cioè psicologi, assistenti sociali e soprattutto sociologi, questi ultimi i preferiti, a causa di non occultabili nostalgie ideologiche fiorite nel tempo in cui si predicava che tutte le colpe erano della società.

Solo immaginare che si possa insegnare da un lato e imparare dall’altro il modo acconcio di relazionarsi con altri esseri umani – sia pure attraverso gruppi, sottogruppi, esperti e superesperti – suscita un sorriso di compatimento. E ciò per varie ragioni.

La prima. Propiziare e far fiorire i rapporti umani non è altro che il risultato di una virtù – quella propria della persona umana – e siccome fin dai tempi di Socrate sappiamo che la virtù non si insegna e non si impara, nulla c’è in proposito da insegnare ed imparare. Non si dà – e perciò non si insegna né si impara – una tecnica specifica delle relazioni umane.

La seconda. Proprio perché una tale tecnica non esiste, nessuno la possiede a tal segno da trasmetterla ad altri. Neppure i cosiddetti “esperti”, i quali conoscono in modo eminente un segmento soltanto della realtà – quello di propria pertinenza – ma ignorano fatalmente la visione d’insieme e perciò nulla o poco possono davvero conoscere dell’essere dell’uomo e delle sue relazioni con altri uomini e perciò nulla o poco possono trasmettere.

La terza. Ipotizzare che il semplice portare a conoscenza dei giovani i meccanismi di produzione della violenza come modo patologico di relazionarsi con gli altri sia sufficiente per arginarne il manifestarsi è del tutto illusorio. E ciò perché una cosa è la conoscenza e altra la volontà: non basta conoscere il male per evitarlo. Lo sapeva due millenni fa Ovidio, che nelle Metamorfosi annota: “Video meliora proboque, deteriora sequor” (vedo le cose migliori e le approvo, ma seguo le peggiori).

La quarta. Se per propiziare che la persona umana sappia di essere una persona umana aperta alle relazioni con i suoi simili, occorre istituire nuove ed improbabili discipline di insegnamento, allora vuol dire che la scuola non solo ha fallito il suo compito, ma che essa giudica tale fallimento definitivo, al punto da certificarlo.

Compito della scuola è infatti far sì che ogni essere umano che la frequenti sia in grado di conoscere se stesso, secondo l’antico insegnamento “Conosci te stesso” scolpito sul frontone del tempio di Apollo delfico: ad altro essa non è tenuta perché tutto deriva da questo, anche e soprattutto la bontà delle relazioni con gli altri.

Ecco dunque cosa dovrebbe fare la scuola per arginare davvero il terribile fenomeno della dilagante violenza: essere ancora più se stessa, più scuola di quanto sia riuscita ad essere, nonostante tutto remi contro di lei.

Per questo motivo la scuola dovrebbe migliorare e intensificare l’insegnamento di tutte le discipline: introdurre i ragazzi alle suggestioni della poesia più alta; alle scoperte della letteratura; alla profondità dell’anima umana, attraverso lo studio delle tragedie; alla bellezza universale della matematica; allo splendore divino della fisica, della chimica, dell’astronomia; alle fantastiche vicende storiche che hanno fatto di noi ciò che siamo; alla sublime maestà della musica e della danza.

Insomma, migliore sarà la scuola, più profonda sarà la conoscenza di sé – capace di conformare anche la volontà – e di conseguenza più ridotta la violenza: questa la sola strada per arginarla, quella indiretta ma efficacissima della più ampia conoscenza di sé e del mondo. Non quella diretta – ma ingenuamente condannata al fallimento – dei corsi per “educare alle relazioni”.

Invece, la scuola si perde nel tentativo di saziare le crescenti voglie del mostro burocratico che la divora: registri, schemi, previsioni, programmazione, relazioni, protocolli senza fine, riunioni pomeridiane senza capo né coda per professori-ergastolani, che perdono tempo per decodificare le ultime trentasei circolari ministeriali (sfornate a ritmi incredibili) invece di insegnare ai ragazzi i quali, stanchi di aspettare il Godot che non arriverà mai, finiscono per disinteressarsi del tutto di ogni insegnamento.

Ma perché meravigliarsi? Tout se tient: la proposta odierna per insegnare ciò che non si può insegnare né imparare va vista e compresa come l’ultimo nefando e incredibile tassello di un mondo che ha rinunciato al Senso – come quello in cui viviamo – in cui la piccola Indi viene sequestrata dall’Inghilterra, che si rifiuta perfino di farla spirare fra le mura domestiche; in cui la denatalità farà scomparire intere culture; in cui non esiste più la normalità e chi vi accenna soltanto rischia il linciaggio; in cui la grammatica è divenuta un’opzione del tutto trascurabile e la lingua italiana viene impunemente bistrattata; in cui il diritto si è dimenticato della giustizia; in cui la libertà politica viene ogni giorno vilipesa e limitata; in cui la persona umana tragicamente evapora, lasciando dietro di sé solo la nostalgia del ricordo.

E, oggi, anche questo che non si era mai visto né immaginato: una scuola che inaugura dei corsi... per surrogare la propria incapacità.

Facciano leggere invece e ben meditare, come si conviene, L’educazione sentimentale di Gustave Flaubert: non occorre altro. Lo faranno? Sarebbe una cosa intelligente e antidemagogica: per questo, non lo faranno mai.

Aggiornato il 23 novembre 2023 alle ore 09:43