Lo scorso sabato il mondo musulmano è entrato prepotentemente nel teatro di guerra della Striscia di Gaza, per uscirne un attimo dopo con sospetta rapidità.
Il vertice tra la Lega Araba e l’Organizzazione della Cooperazione Islamica – che ha visto la partecipazione inedita degli Stati della regione sia a orientamento sunnita, sia a orientamento sciita – convocato a Riad per discutere della crisi israelo-palestinese, si è concluso in un nulla di fatto. Il capofila dell’ala dura contro Israele, il presidente della Repubblica islamica dell’Iran, Ebrahim Raisi, ha chiesto che contro lo Stato ebraico venissero attuati l’embargo petrolifero e altre stringenti forme sanzionatorie. Proposta non accettata dai Paesi del cosiddetto fronte arabo moderato presenti all’incontro, impegnati come sono a cercare uno stabile equilibrio di pace con lo Stato ebraico.
Non riuscendo a trovare la sintesi su una road map condivisa che indicasse la strada per la soluzione del conflitto ai danni di Israele, la discussione è terminata con l’approvazione di una dichiarazione finale con la quale si chiede al Consiglio di Sicurezza dell’Onu “una risoluzione decisiva e vincolante per fermare ‘l’aggressione’ di Israele a Gaza”. Si chiede inoltre la fine dell’assedio di Gaza e l’accesso degli aiuti umanitari alla popolazione della Striscia. Aria fritta, Israele può dormire sonni tranquilli. Non v’è traccia alcuna della volontà musulmana di impelagarsi in una guerra contro lo Stato ebraico che, inevitabilmente, trascinerebbe nel conflitto il suo potente alleato americano. La potremmo chiudere qui se non fosse che il vertice di Riad abbia comunque messo in luce alcuni aspetti che potremmo definire di pedagogia politica, estremamente istruttivi per l’Occidente.
A pontificare sulla condanna di Israele c’era il doppiogiochista di Ankara, Recep Tayyip Erdoğan, nel suo insopportabile stile da grassatore d’alto bordo alla Ghino di Tacco. Eppure, la Turchia è un Paese Nato. In teoria, dovrebbe stare con l’Occidente. Invece, gli anni della sua tirannide ci hanno insegnato che Erdoğan non sta da alcuna parte che non sia la sua. La seconda osservazione emersa è una conferma. Fin dallo scoppio della crisi tra Israele e Hamas abbiamo segnalato la novità che avrebbe spalancato le porte a un pericolo serio per gli equilibri geostrategici del Medio Oriente. Si tratta dell’innaturale convergenza tra sciiti e sunniti. Hamas, sostenuta dalla Fratellanza musulmana, rappresenta plasticamente il punto di congiunzione dei due mondi – sunnita e sciita – finora separati e in conflitto permanente. Il suggello a questa inedita corrispondenza di amorosi sensi è stato il bilaterale tra il principe ereditario dell’Arabia Saudita, Mohammed bin Salman, e il presidente dell’Iran, Ebrahim Raisi. Potrebbe non essere una buona notizia per l’Occidente. Ma c’è un terzo elemento emerso nei discorsi di Riad che, a nostro avviso, rileva. Il presidente iraniano, volendo omaggiare i miliziani di Hamas della più alta considerazione per la loro opera di sterminatori di ebrei, ha detto testualmente nel suo intervento: “Non c’è altra via che resistere a Israele, baciamo le mani a Hamas per la sua resistenza contro Israele”. A casa nostra sappiamo bene da chi e dove venga usata l’espressione “baciamo le mani”. Appartiene all’idioma gergale siciliano e sta a indicare un moto di saluto che implicita un senso di reverenza verso un interlocutore ritenuto persona potente. Lungi dall’essere confuso con il baciamano, segno di galanteria nei riguardi di una gentildonna, il “baciamo le mani” è il linguaggio della mafiosità che definisce dal punto di vista semantico la condizione di sottomissione del più debole a colui che è ritenuto, a torto o a ragione, più forte. Paradossalmente Raisi associa, per l’immaginario collettivo, l’organizzazione terroristica Hamas a una cosca mafiosa. E non sbaglia. Perché, a ben vedere, le similitudini tra i terroristi di Gaza e i mafiosi nostrani sono tante e impressionanti, al punto da poterne trarre l’identikit del prototipo di delinquente, affiliato a un’organizzazione criminale, che presenta tratti comuni e stesso modus agendi su entrambe le sponde del Mediterraneo.
Come i mafiosi, gli uomini di Hamas sono dei vigliacchi. Colpiscono alle spalle per spaventare, ma si nascondono al nemico temendone la superiorità. Come i mafiosi latitanti, i “miliziani” s’imbucano nella cavità del sottosuolo. Entrambi, si fanno scudo dei civili e all’occorrenza li sequestrano. Come i mafiosi, i terroristi di Hamas corrompono pubblici ufficiali, lucrano sui traffici illegali e sul contrabbando, estorcono denaro alle loro vittime. Come i mafiosi, i terroristi di Hamas tengono in scacco la popolazione più povera mediante la sistematizzazione di un falso welfare umanitario, al solo scopo di assicurarsene la complicità. Come i mafiosi, se la prendono con donne e bambini ma con qualche originale differenza. I terroristi, i bambini ebrei li mettono a cuocere nel forno a microonde, mentre in Sicilia la mafia predilige scioglierli nell’acido. Il profilo antropologico che li accomuna? Vigliacchi e sanguinari. Perché serve saperlo? Serve comunicarlo a quella massa di idioti che vanno per cortei a glorificare Hamas. Sebbene il cromosoma dell’imbecillità sia appartenuto in quota parte a tutte le generazioni che si sono succedute nei secoli, resta il fatto che non se ne può più di sentirli farneticare di assurde responsabilità criminali di Israele per ciò che sta accadendo. Non potendo ricorrere a bavagli di sorta a causa della natura tollerante della democrazia, urge l’acquisto di tappi per le orecchie.
Aggiornato il 15 novembre 2023 alle ore 09:40