La sinistra è la verità assoluta, dunque, essere di sinistra è un privilegio. Peccato che i social-soloni non abbiano più nemmeno un centesimo di quella cultura che, pur discutibile, imperava nei loro ambienti prima della caduta del Muro. Forse un ripassino potrebbe essere utile ai copincollisti che non ricordano se il loro Marx si chiamasse Karl o Groucho, e quale dei due facesse più ridere. Fatto sta che la cultura di sinistra è orfana della sinistra e della cultura. È rimasta, però, la vocazione a insegnare tutto a tutti senza avere argomenti. E da qui un’idea: arrembaggio contro gli avversari, fatto di insulti generici, attacchi personali, quelli un tempo proibitissimi. E poi vignette di quart’ordine, boutade la cui banalità supera la triste media dei social.
Dunque, si ripiega sul no a tutto, senza sapere nemmeno di che cosa si parli: peccato che l’opposizione si dovrebbe fare contrapponendo argomenti, ma quando la politica si riduce ad allocuzioni cripto-post-sessantottine della svizzera sciccosamente eletta è ovvio che manchi la sostanza. Nessuna idea sulla gestione dello Stato, restano solo i tentativi di boicottaggio a qualsiasi azione del Governo e di chiunque si ispiri alla politica della maggioranza. Pensandoci bene, il termine “sinistra” è diventato vagamente impronunciabile. Nessuno l’ha mai proibito, e nemmeno sconsigliato, ma sta di fatto che crea disagio, come accadeva per il termine “comunismo” dopo l’89.
Si preferisce essere definiti, ad esempio, progressisti, tentando di appiccicare con lo sputo il termine progresso a privilegi delle logge gay, ai divieti di usare termini omologati dai soliti noti, agli schieramenti immediati e collettivi quando nel mondo accade qualsiasi avvenimento la cui comprensione è del tutto secondaria. Nessuno dirà mai “di sinistra sarà lei”. Il termine è destinato a sepoltura, silenziosa, come accade a quei morti che camminano, ma per educazione evitano le strade dove passeggia la gente bene.
Aggiornato il 13 novembre 2023 alle ore 10:58