Una roba del genere non s’era mai vista. Il direttore de L’Unità che attacca frontalmente il segretario del Partito democratico. D’accordo, L’Unità non è da un pezzo l’organo di stampa del principale partito della sinistra, come lo era stato ai tempi del Pci. Purtuttavia, rimane il legame sentimentale tra il popolo degli ex comunisti – che oggi vota Pd – e il loro giornale.
Forte di una storia antica e a suo modo prestigiosa, Piero Sansonetti – attuale direttore de L’Unità – ha sparato ad alzo zero su Elly Schlein, capo dei progressisti per volontà del popolo dei gazebo. Nell’editoriale del 7 novembre scorso dipinge un ritratto della leader progressista degno di una xilografia di Albrecht Dürer. Scrive Sansonetti: “Parlamentare priva di storia politica, di esperienza e di conoscenza politica, del tutto estranea alla vita del partito, e che fino a questo momento si è mostrata incapace di esprimere una qualsiasi linea politica”.
A suo parere, la Schlein in otto mesi di mandato alla guida del Pd non ha prodotto nulla. Peggio, ha reso un fantasma il principale partito di opposizione al Governo delle destre. Una sola volta lo ha portato in battaglia, ma sul campo sbagliato della lotta per il salario minimo. E ha perso. Per il resto, la cifra della segreteria Schlein è stata il silenzio. Ha taciuto e tace su tutto. Non si capisce quale sia la linea del partito sulle principali questioni che assillano la società. Se la politica fosse una branca della zoologia questo Pd, per Sansonetti, sarebbe un’ameba. Il direttore la mette giù pesante spingendosi a dare ragione all’istrionico Vincenzo De Luca – governatore della Regione Campania con aspirazioni e postura da viceré – e al suo colorito linguaggio nel descrivere la Schlein alla stregua di un’ambiziosa dirigente politica la cui unica preoccupazione starebbe nel combattere i vecchi “cacicchi di partito” sostituendoli con dei nuovi, tutti rigorosamente amici suoi. Sansonetti pone una questione nodale per la tenuta del Pd quale forza traente della sinistra. La giovane e inesperta leader non sarebbe attrezzata a comprendere che il presente tempo storico, segnato dalla crisi definitiva del modello di sviluppo perseguito negli ultimi trent’anni, richieda una ridefinizione della relazione tra capitale e lavoro e la strutturazione di un nuovo welfare, maggiormente sintonico con le istanze che provengono dalle fasce basse della società.
Ma cos’è che Sansonetti proprio non riesce a mandare giù della Schlein? Lo ha spiegato nell’editoriale di ieri, apparso su L’Unità a commento della manifestazione del Pd nel sabato romano. Per un “pro-Palestina” come lui “ascoltare per circa due ore i discorsi a piazza del Popolo, nei quali si affrontavano questioni serissime... ma senza neanche accennare alla guerra e al genocidio del popolo della Palestina, faceva male”.
La colpa inemendabile della Schlein starebbe nell’aver ignorato la natura profonda del pensiero socialista che regge su tre pilastri portanti: pacifismo, garantismo, egualitarismo. E, di conseguenza, nell’aver disertato la battaglia pacifista nel momento in cui la parola è passata alle armi nella Striscia di Gaza. Ma non è tutto. Per Sansonetti è inaccettabile che Elly consideri la politica internazionale un problema secondario. Per queste ragioni le chiede di fare un passo indietro e di rimettere le sorti del partito nelle mani di persone più esperte, consapevoli della drammaticità del momento.
Il J’accuse del direttore non ha ricevuto l’accoglienza migliore dalle parti dei supporter della leader. Sansonetti – nell’editoriale su L’Unità del 9 novembre dal titolo “Senza pacifismo, che sinistra è?” – se ne lamenta. Lui avrebbe sperato che sul suo intervento si fosse aperto il dibattito, come nelle migliori tradizioni di una sinistra che non era propriamente il Partito comunista italiano, con il suo staliniano “centralismo democratico”. Tuttavia, un “Lei-come-si-permette” deve essergli sembrato troppo se ha avvertito la necessità, in replica, di ricordare ai giovani virgulti del Pd che L’Unità rappresentò per il Pci, e per la sinistra, il più forte strumento di informazione, di formazione, di organizzazione di massa e di ricerca ed elaborazione teorica che il comunismo italiano avesse avuto a disposizione. Quanto basta per rivendicare il diritto di parlare in nome di quella tradizione e di chiedere conto a chi da quella storia ha ereditato la potenza della macchina organizzativa partitica.
Appare quanto mai bizzarro che un pacifista professo sia pronto a ingaggiare una guerra in nome degli ideali traditi. Sansonetti, in tale frangente, ci ricorda la genuina purezza sentimentale di un altro Piero, il soldato della canzone/poesia di Fabrizio De André “La guerra di Piero”. Collocati sul lato opposto della barricata, pur rigettando in radice il retaggio ideologico di cui mena vanto il direttore de L’Unità, non possiamo negargli la nostra simpatia. Sarà questione di solidarietà generazionale, sarà per la comune nostalgia per quei tempi in cui si era nemici ma ci si rispettava, sentiamo di dargli ragione quando pretende da quei geni che comandano nel Pd adeguate risposte alle sue domande. Saranno lacrime a sinistra? Probabilmente sì. Ma non deve preoccupare perché non tutte le lacrime sono di dolore. Possono essere anche di gioia, specialmente quando aiutano la democrazia a riacquistare un’equilibrata dinamica conflittuale tra maggioranza e opposizione.
D’altro canto, il permanere sulla scena di una sinistra evanescente non servirebbe al Paese, come non servirebbe alla destra la quale, per superarsi, ha bisogno anch’essa di vivere una sana concorrenza con un avversario forte e strutturato. Piero Sansonetti, strana creatura del bestiario politico – metà comunista metà garantista, praticamente un ossimoro – lo ha capito. Ed è per questo che ha notificato l’avviso di sfratto a Elly Schlein.
Aggiornato il 14 novembre 2023 alle ore 09:35