I tre principali errori occidentali sulla questione israelo-palestinese

Criticare i propri errori è meglio che criticare quelli degli altri”: così ha insegnato uno dei padri del pensiero razionale occidentale, Democrito, in uno dei suoi frammenti pervenutici e tramandati dopo 2.500 anni, quasi anticipando l’insegnamento evangelico per cui è sempre meglio guardare la trave nel proprio occhio che la pagliuzza nell’occhio altrui. Cioè, in sostanza, bisogna sempre essere in grado di fare un adeguato esame di coscienza comprendendo i propri errori nei pensieri, nelle azioni e nelle omissioni. Alla luce di ciò, dunque, si possono e si devono comprendere i tre principali errori che la classe politica e intellettuale occidentale sta compiendo nell’analisi della questione israelo-palestinese, poiché una diagnosi errata conduce irrimediabilmente ad una errata terapia. Il primo errore è ontologico, e riguarda Hamas. A tamburo battente tutti gli esponenti politici di ogni schieramento, le testate giornalistiche, gli intervenuti nel pubblico dibattito – e già l’uniformità totale dovrebbe indurre a coltivare qualche dubbio intorno alla onestà intellettuale e affidabilità di tale posizione – ripetono che i miliziani di Hamas sono terroristi. I miliziani di Hamas, tuttavia, piaccia o meno e lo si accetti o meno, non sono “semplici” terroristi, ma veri e propri jihadisti, come si evince – sol che si intenda abbandonare ogni ingenuità derivante dall’adozione dell’ideologia del politicamente corretto – da almeno tre fattori essenziali. Il primo fattore è il dato coranico che contempla in modo esplicito il ricorso allo jihadismo come strumento di conversione degli infedeli che islamici ancora non sono e, a maggior ragione, come unico mezzo di difesa nel caso le comunità islamiche si percepiscano – a prescindere che lo siano davvero o meno – attaccate da chi islamico non è. In tale direzione, tra i molteplici esempi possibili, la Sura 3 e la Sura 9 del Corano sono quanto mai paradigmatiche.

Il secondo fattore è un dato fattuale, cioè il sostegno che in tutti i Paesi islamici – sia sunniti che sciitil’opinione pubblica sta mostrando in favore della causa palestinese e delle azioni di Hamas celebrate in lungo e in largo nelle cosiddette “piazze arabe” (anche negli agglomerati islamici interni all’Occidente come in Germania, Francia o Inghilterra). Tra le dozzine di esempi possibili si pensi all’assalto all’aeroporto di Makhachkala nel Daghestan – distante circa 1.700 chilometri dalla Striscia di Gaza – da una folla urlante “Allāh u akbar” che ha tentato di raggiungere alcuni aerei provenienti da Israele. Nel democratico mondo occidentale, contraddistinto da un pubblico dibattito sempre più elitarizzato e militarizzato, le piazze e l’opinione pubblica probabilmente non contano più nulla, almeno dopo l’esperienza pandemica, ma negli anti-democratici regimi islamici, invece, hanno ancora un rilevantissimo peso politico, sociale e ideologico, anche se in Occidente si fa di tutto per negare tale realtà. Il terzo fattore è il metodo jihadista (violenza, rapimenti, ricatti, omicidio, tortura, mutilazioni, incendi e orrori di ogni tipo) che colpisce chiunque (militari, civili, donne, anziani, bambini) a prescindere dal proprio coinvolgimento effettivo nelle presunte azioni anti-islamiche. Hamas, infatti, come metodi utilizza i medesimi di sempre, quelli dell’Isis, quelli di Boko Haram, quelli di al-Qaeda che, a loro volta, hanno sempre utilizzato – come si è avuto modo di spiegare già da tempo – i metodi e la logica dello jihad e non già quelli del terrorismo.

I tre suddetti fattori considerati insieme – oltre ad una lunghissima casistica storica – dimostrano che Hamas non è una organizzazione terroristica, ma una delle molteplici organizzazioni islamiche che hanno incarnato la logica, lo spirito e la lettera dello jihadismo coranico, che così strutturalmente e ineludibilmente fondante è per la cultura e la religione islamica nel suo complesso. Il secondo errore che l’Occidente commette nella sua analisi consiste nel ritenere che si debba evitare il cosiddetto “scontro di civiltà”. L’errore in tal senso è duplice. Per un verso, infatti, lo scontro di civiltà esiste di fatto e da lunghissimo tempo, anche se l’Occidente si ostina a negarlo, almeno per coloro che combattono contro l’Occidente (come appunto i sistemi islamici). Per di più, proprio nella questione israelo-palestinese lo scontro di civiltà rappresenta esattamente lo spirito con cui le due parti lo intendono e lo vivono nello scontro quotidiano che oramai va avanti da decenni. In tale direzione, gli esempi potrebbero essere praticamente infiniti: dalle dichiarazioni di Mahmoud Ahmadinejad che intendeva cancellare Israele dalle cartine geografiche alla guerra israeliana in Libano del 2006. Per altro verso, l’Occidente si ostina a negare il conflitto di civiltà, probabilmente, perché più o meno conscio del fatto di non essere più una civiltà esso stesso, e quindi di non essere in grado di resistere contro la compattezza culturale di altre civiltà, come, per esempio, quella islamica. Proprio su quest’ultimo profilo, infatti, aveva già ben sintetizzato il problema Joseph Ratzinger allorquando, nelle sue riflessioni sull’Europa e sulla cultura europea, aveva chiarito che le altre civiltà, come per esempio quella islamica, non comprendono l’Occidente, prima e oltre ogni ulteriore fattore, proprio a causa della mancanza della dimensione identitaria e spirituale che oramai da decenni lo caratterizza, poiché “per le culture del mondo la profanità assoluta che si è andata formando in Occidente è qualcosa di profondamente estraneo” (Joseph Ratzinger, Europa. I suoi fondamenti oggi e domani, San Paolo, Cinisello Balsamo, 2004, pagine 28-29).

Il terzo errore compiuto dall’Occidente – che, infatti, non riesce a comprendere davvero gli accadimenti medio-orientali come comprova la paralisi dell’Unione europea la quale dimostra come essa non sia né una entità politica, né tanto meno una entità culturale, ma soltanto una semplice espressione monetaria – consiste nel fraintendimento della coerenza interna del conflitto israelo-palestinese. Per l’intellighenzia occidentale, infatti, le ragioni del conflitto sono soltanto di ordine storico, razziale, territoriale o religioso in senso ampio, trascurando il fondamentale dato teologico-morale che, invece, dovrebbe essere preso in considerazione per comprendere le ragioni più intime che alimentano tale feroce conflittualità. Quella israelo-palestinese, infatti, è una spirale di violenza infinita, autopoietica e progressiva, che da decenni dura e per decenni ancora durerà, poiché si realizza nella sua sostanza ultima nello scontro di due monoteismi – quello ebraico e quello islamico – che non hanno mai superato, e non potranno mai superare, la logica della legge del taglione. La legge dell’“occhio per occhio e del dente per dente” è quella che legittima ogni ritorsione che ciascuna delle due parti esige per “vendicare” i propri deceduti uccisi dalla propria controparte. In Occidente, seppur male, tardi e senza dubbio spesso in modo insufficiente – tale logica è stata disinnescata dall’avvento del Cristianesimo il quale, non soltanto ha introdotto la logica del perdono 70 volte 7, del porgere l’altra guancia, dell’amare il proprio nemico e così via – ma, come ha ben illustrato lungo tutta la sua carriera René Girard, ha silenziato una volta e per tutte l’esigenza del nemico da sacrificare con il sacrificio ultimo e supremo del Cristo figlio incarnato di Dio.

Il Cristianesimo, seppur oramai in modo sbiadito, che informa la cultura occidentale ha introdotto questa innovazione teologica che si è ben presto trasformata in nuova prospettiva antropologica, disinnescando in modo universale le ragioni teologiche della violenza e della vendetta, dinamica del tutto assente nel sistema teologico-morale del vicino Ebraismo e, a maggior ragione, del lontano Islam. Soltanto comprendendo questi tre esiziali errori – per lo più causati dall’interazione cooperante del laicismo, del politicamente corretto e dell’economicismo – l’Occidente potrà non soltanto formulare soluzioni politiche e culturali in grado di risolvere, o quanto meno mitigare, in modo reale l’aspro conflitto che sta consumando l’umanità in medio-Oriente, ma anche e soprattutto salvare se stesso dall’eventualità concreta che il predetto conflitto degeneri, coinvolgendo fisicamente e materialmente l’intero Occidente, che attualmente è culturalmente e politicamente, prima che militarmente, incapace di saperlo fronteggiare davvero. L’Occidente deve arrendersi alla verità a lungo negata, cioè quella secondo la quale per comprendere gli altri bisogna prima comprendere se stessi; per aiutare gli altri bisogna prima aiutare se stessi; per giudicare gli altri bisogna prima giudicare se stessi.

Aggiornato il 01 novembre 2023 alle ore 09:49