Contro la povertà, burocrazia kaputt!

La Legge di Bilancio sta per approdare nelle aule parlamentari per essere discussa e approvata nei tempi previsti. Questa è già una buona notizia. L’auspicio è che non vi sia il solito “assalto alla diligenza” dei deputati e senatori che, legittimamente, proveranno a strappare qualche manciata di denari pubblici per soddisfare le aspettative dei loro elettorati di riferimento. Purtroppo, non siano in tempi di vacche grasse. A prosciugarle ci hanno pensato la congiuntura internazionale – con due focolai di guerra accessi – e un’inflazione che non cala. Sono, invece, tempi di sobrietà per la spesa pubblica. Il Governo lo ha capito. Occorre, però, che lo comprendano anche quegli italiani fomentati da un’opposizione di sinistra la quale, non potendo dare il cattivo esempio, si spende nel dare “buoni consigli”. In verità, impraticabili. Concepiti esclusivamente per mettere il bastone tra le ruote della maggioranza di centrodestra. Ma tale è il ruolo dell’opposizione in democrazia e bisogna farsene una ragione. Quindi, bene il Governo che ha deciso di concentrare le risorse finanziarie disponibili per fare le poche cose volte a proteggere i redditi più bassi.

Il taglio, anche per il 2024, del cuneo fiscale che recherà uno sconto contributivo di 7 punti per i redditi fino a 25mila euro e di 6 punti per quelli tra i 25 e 35mila euro (costo appostato in manovra 9,9 miliardi di euro) è una di queste. La principale. Tuttavia, non bisogna cullarsi sugli allori. La condizione in cui versa una parte significativa della popolazione è allarmante. Nel 2022 la povertà assoluta è cresciuta. A dirlo è l’Istat. Il report pubblicato ieri l’altro è da brividi. Lo scorso anno le famiglie scese sotto la soglia della povertà assoluta sono state 2,18 milioni. Cioè, l’8,3 per cento del totale delle famiglie italiane. Nel 2021 i nuclei famigliari in povertà assoluta rappresentavano il 7,7 per cento del totale. In termini individuali i poveri assoluti sono stati 5,6 milioni (9,7 per cento della popolazione, in crescita rispetto all’anno precedente).

Stabile il dato sulla povertà relativa. Sono 2,8 milioni le famiglie che si collocano sotto soglia (10,9 per cento del totale delle famiglie italiane). Il gap tra il Nord e il Centro del Paese e il Sud è drammatico. Le famiglie in povertà assoluta al Sud sono il 10,7 per cento; 7,5 per cento al Nord; 6,4 per cento al Centro. Secondo l’analisi dell’Istat la causa dell’aggravamento della situazione per le fasce più deboli della popolazione è ascrivibile all’incapacità di queste a reggere l’impatto dell’inflazione sui consumi. La crescita del costo dei beni primari ha indotto le famiglie povere a ridurre gli acquisti rispetto all’anno precedente (-2,5 per cento). Essendo la coperta dei denari pubblici molto corta, il Governo ha dovuto fare una scelta e ha puntato sul sostegno alle famiglie con redditi medio-bassi per tutelarne il potere d’acquisto. Quelle senza reddito e le incapienti, al momento, sono state trascurate.

Se una tale opzione può essere vincente nell’immediato, non lo è in prospettiva. Lasciare tanta gente a digiuno è un rischio per la tenuta della coesione sociale. E nessun Governo, anche quello più amato dalla maggioranza dei cittadini, può permettersi una distrazione del genere. Ciò significa una cosa ben precisa. Approvata la Legge di Bilancio, il 2024 dovrà essere per Giorgia Meloni e per i suoi ministri l’anno dell’aggressione frontale al fenomeno della povertà assoluta. Giusto per capire di cosa parliamo, proviamo a dare una definizione figurata delle categorie concettuali di povertà assoluta e di povertà relativa. Sono in povertà assoluta quelle famiglie in cui non si riesce a combinare il pranzo con la cena e dove non ci si può consentire nulla: pagare un affitto e le bollette, comprare un paio di scarpe ai figli, o un cappotto nuovo per l’inverno. Sono poveri relativi quei nuclei famigliari che riescono a garantirsi due pasti giornalieri ma che se in un mese comprano un paio di scarpe non possono concedersi il lusso di abbinargli l’acquisto di un vestito. Un Paese economicamente avanzato può tollerare al proprio interno un tale squilibrio sociale? No, non può. Qualcuno, dalle parti del centrodestra, la fa facile.

Puntare sull’aumento della crescita economica, è la ricetta. Sarebbe bello, ma non basta. Soprattutto adesso, che il massiccio ingresso dell’innovazione tecnologica nei processi produttivi ha di fatto determinato la separazione tra il tasso di crescita della ricchezza e quello dell’occupazione, a danno di quest’ultimo. La soluzione più realistica – ora che il barile della spesa pubblica disponibile è stato raschiato fino in fondo – è l’abbattimento dei costi della spesa pubblica improduttiva, in particolare di quelli generati dall’eccesso di burocrazia, da cui il nostro Paese è da lungo tempo afflitto. È da quella gigantesca fonte di spreco e di perverso potere sui cittadini imprenditori che possono venire i denari necessari a finanziare i piani di recupero delle famiglie dalla condizione di povertà. Relativa o assoluta che sia. Tutto il resto sono pannicelli caldi che possono alleviare ma non curare il male. E la povertà, checché ne dica la sinistra affezionata all’utopia del comunismo degli stracci, è il male assoluto.

Aggiornato il 27 ottobre 2023 alle ore 09:51