Iran: il coraggio delle donne

Si dice che anche un orologio rotto, in un giorno, segni per due volte l’ora esatta. Si può dire la stessa cosa dell’Unione europea. Che sia un caravanserraglio sgangherato è sotto gli occhi di tutti, con i vertici che, a proposito della vicenda israelo-palestinese, litigano rincorrendosi a suon di dichiarazioni contraddittorie. Eppure, in un caso ha fatto la cosa giusta. La scorsa settimana, nel corso dell’assemblea plenaria del Parlamento europeo, la presidente Roberta Metsola ha annunciato il nome della vincitrice del Premio Sacharov per la libertà di pensiero 2023. Si tratta di un riconoscimento alla memoria perché la destinataria, Jina Mahsa Amini – giovane donna curdo-iraniana di 22 anni – è stata barbaramente assassinata dagli sgherri della polizia morale di Teheran il 16 settembre 2022. Ricordiamola questa ragazza coraggiosa. Arrestata per essersi rifiutata d’indossare il velo secondo l’implacabile – nella sua ottusità – legge iraniana, durante la detenzione è stata percossa e abusata fisicamente fino alla morte, avvenuta tre giorni dopo l’arresto. Il premio alla memoria di Jina Mahsa Amini è esteso al movimento delle donne iraniane “Donna, vita, libertà”, sorto a seguito della protesta spontanea innescata dalla barbara violenza scatenata dai fanatici di Allah sul corpo di una ragazza indifesa. Si tratta di donne straordinarie che si ribellano al potere omofobo dei mullah iraniani, nella consapevolezza di andare incontro alla repressione brutale, alla tortura e anche alla morte.

Ma la determinazione a perseguire il diritto alla libertà a prezzo della vita è la materia di cui sono fatte le eroine. Magnifiche, splendide ragazze di Teheran, pronte a fare ciò di cui noi occidentali abbiamo perso le tracce: combattere, e se necessario morire, per un superiore ideale. È un bene che il ricordo di Jina Mahsa Amini sia tornato a risuonare nei palazzi della politica europea. Nelle stesse ore in cui un impaurito Occidente si prodiga nell’ostacolare il leader israeliano Benjamin Netanyahu, più che mai intenzionato a spazzare via Hamas dalla Striscia di Gaza. La preoccupazione, che rasenta la paura, nelle cancellerie occidentali, scaturisce dalla possibile reazione dell’Iran al repulisti di miliziani di Hamas avviato dall’esercito israeliano. Se è di un regime di sanguinari che dobbiamo aver paura, allora diciamolo chiaramente: l’Occidente quale faro della civiltà umana è un pallido ricordo, una fotografia ingiallita nell’album della storia. Aveva visto giusto Oriana Fallaci: di questo passo i nostri nemici ci travolgeranno. Oggi Israele e l’ebraismo, domani l’Occidente libero e cristiano. Lo ha detto benissimo Mike Pompeo – segretario di Stato sotto la presidenza Trump – nella sua “lectio magistralis” di geopolitica, pubblicata in Italia dal Giornale: “Davanti a questo conflitto, i nostri leader hanno il dovere morale della chiarezza. Sì, dobbiamo fermare la carneficina, come chiedono alcuni manifestanti. Ma il modo per fermare la carneficina è eliminare i terroristi, non placarli o giustificare la loro barbarie”.

E se ciò dovesse portare a uno scontro aperto con gli aguzzini di Teheran che stanno dietro al vile attacco agli inermi cittadini israeliani, l’Occidente non dovrebbe ritrarsi trincerandosi dietro un umiliante apaisement, odiosa parola coniata per camuffare il compromesso al ribasso stipulato da un debole con i propri nemici. In queste ore, sulle due sponde dell’Atlantico tira una brutta aria, maledettamente simile a quella che si respirava a Monaco nel 1938. Verrebbe da chiedere ai “prudenti” vertici delle istituzioni occidentali che con fare ambiguo si dicono con Israele ma anche con quelle masse oscene di ammiratori di Hamas, che hanno affollato in questi giorni le piazze americane ed europee – purtroppo qualcuna anche italiana – per sostenere la causa antisemita dei tagliagole: non provate un po’ di vergogna al cospetto delle ragazze di Teheran? Loro, che potrebbero insegnare al genere umano cosa significhi battersi per ciò in cui si crede. D’altro canto, come potreste vergognarvi quando non c’è stato il benché minimo sussulto di dignità dopo aver abbandonato a un tragico destino le donne e gli uomini dell’Afghanistan, illusi che un mondo diverso da quello avvolto nelle tenebre dell’oscurantismo islamico fosse possibile.

Come rimediare al nostro declino? Bisogna battere un colpo e dimostrare che non siamo ancora crollati. Il modo c’è e precede il ricorso all’uso della forza. È il modello trumpiano che, se applicato fino in fondo, avrebbe recato pace e sicurezza non solo al Medio Oriente ma a tutto il pianeta. Poche cose, ma efficacissime. Sanzioni ai Paesi che praticano il programma antisemita “Boycott, Divestment, Sanctions” ai danni di Israele; sanzioni severe ai Paesi che sostengono finanziariamente le organizzazioni terroristiche della jihad; trasferimento di tutte le ambasciate occidentali da Tel Aviv a Gerusalemme, quale esplicito riconoscimento della capitale naturale dello Stato d’Israele; inasprimento delle sanzioni a carico degli Ayatollah e dei loro compari; inserimento da parte dell’Unione europea dei pasdaran iraniani – i guardiani della rivoluzione islamica – nell’elenco delle organizzazioni terroristiche internazionali. Perché sia chiaro a tutti che il problema in Medio Oriente non è Israele, ma la composita galassia dei suoi nemici.

Aggiornato il 25 ottobre 2023 alle ore 09:47