Dopo vent’anni di guerra in Afghanistan e quasi altrettanti in Iraq, dopo migliaia di morti europei in seguito agli attentati jihadisti (e non terroristici) di Londra, Madrid, Berlino, Bruxelles, Nizza, Parigi, dopo la stagione delle cosiddette “primavere arabe”, il mondo si ritrova punto e a capo. La polveriera del Medio Oriente, ancora una volta, si dimostra ben più pericolosa di ogni altro scenario bellico più o meno ricordato – come l’Ucraina – e più o meno dimenticato – come le 23 guerre cosiddette “ad alta intensità” parte di quei circa 170 conflitti armati – di differente natura – sparsi attualmente in giro per il mondo e ignorati dai più in Occidente. Evitando i due riduzionismi più comuni, cioè l’idea per cui si tratta sempre e soltanto di interessi economici oppure di questioni razziali – non perché non incidano molto spesso le dinamiche economiche o gli scontri di ordine etnico-razziale, ma perché non si può rendere determinante, generalizzandolo, un fattore che il più delle volte è soltanto influente e afferente al singolo caso specifico – occorre porre mente ai principali problemi alla base di molte di quelle tragiche e disumane vicende a cui abbiamo assistito finora e a cui stiamo ancora assistendo.
I problemi di cui si tratta, sebbene presentino un elemento comune di reciprocità inversa come si vedrà in seguito, sono tra loro distinti: l’Occidente che è diventato sostanzialmente apolitico; l’Islam che è sempre stato irrimediabilmente impolitico. Per quanto riguarda l’Occidente, bisogna chiarire cosa intendere con il termine “apolitico”. Per comprendere il concetto di “apolitico” bisogna partire dal concetto di “politico” che in questa sede si deve accettare secondo una concezione non neutrale, ma eticamente fondata, cioè come capacità di occuparsi del bene comune in vista della tutela della dignità della persona. Se “politico” significa, dunque, perseguire un fine, cioè la tutela della persona, con un mezzo, cioè l’arte politica, con il termine “apolitico” s’intende il fenomeno esattamente opposto, cioè l’indifferenza verso il bene comune e, in sostanza, verso la persona. Per cogliere quanto l’Occidente sia divenuto apolitico si possono considerare almeno tre fenomenologie principali: la rappresentanza politica, l’identità culturale, la famiglia.
Per quanto riguarda la rappresentanza politica, oramai da anni, in Occidente si tende a ridimensionare fortemente questo elemento costitutivo della democrazia almeno in una doppia direzione: per un verso creando delle strutture sovragovernative che pur assumendo decisioni incidenti sulla vita delle singole comunità nazionali sono comunque prive di effettività rappresentativa e democratica, come per esempio accade nel caso della Banca centrale europea o del Fondo monetario internazionale; per altro verso, tramite la crescente influenza delle grandi multinazionali che non soltanto riescono ad avere, grazie alle operazioni di marketing e pubblicità, un maggior potere coattivo sulla popolazione di quanto i singoli Governi riescano a ottenere con gli ordinari strumenti istituzionali, ma soprattutto riescono a condizionare le stesse politiche economiche e sociali dei Governi medesimi. In merito all’identità culturale, in Occidente è sempre più diffusa e propagata l’idea in base alla quale rinunciando alle proprie premesse culturali e identitarie si riescano a prevenire i mali politici e sociali del secolo scorso (nazionalismo, razzismo, colonialismo): il perseguimento e l’adozione di misure che dovrebbero garantire il meticciato etnico-culturale diventano, quindi, sempre più comuni, senza tuttavia riuscire nel loro intento, anzi, producendo un effetto boomerang opposto e contrario, come, per esempio, comprova il drammatico fenomeno delle banlieue parigine le quali, lungi dall’essere un esempio di integrazione e multiculturalismo, sono diventate delle vere e proprie forme di segregazione culturale all’interno delle quali cresce e si sviluppa il fenomeno storicamente inedito dello jihadismo endo-europeo.
L’ultimo elemento è rappresentato dalla famiglia la quale, come si può osservare anche con una sommaria ricognizione, viene sempre maggiormente screditata e de-istituzionalizzata, non soltanto attraverso la legittimazione legale o giudiziaria di aggregazioni differenti dalla famiglia naturale, ma anche e soprattutto favorendo politiche sociali ed economiche che dispiegano i loro effetti di medio-lungo periodo proprio comprimendo gli spazi sociali che dovrebbero essere ricoperti dalla famiglia: in questo senso l’inverno demografico che tutto l’Occidente e l’Italia in particolare stanno attraversando è prova quanto mai evidente di tutto ciò. Trascurando o sopprimendo la famiglia naturale ci si dimentica che essa costituisce per sua specifica vocazione il luogo di nascita della socialità e dell’essere politico dell’uomo, il luogo in cui l’uomo viene allevato politicamente e senza il quale diventa, appunto, apolitico. L’Occidente, dunque, è apolitico poiché non si prefigge più la finalità del bene comune ordinato alla tutela della persona, avendo anteposto il perseguimento di altri interessi, come quelli autoreferenziali di ordine finanziario, quelli ideologici di ordine multiculturalistico, o quelli nichilistici derivanti dall’adozione del relativismo assoluto come unico paradigma culturale, colpendo al cuore la politicità naturale dell’uomo occidentale.
L’Islam, per parte sua, e contrariamente all’Occidente che nasce nell’antica Grecia come entità politica, cioè aggregativa, è per sua natura altamente impolitico. Il termine “impolitico” deve essere inteso, in questo contesto, nella sua accezione di contrario all’aggregazione pacifica degli esseri umani. Se nella dimensione del politico l’essere umano si incontra per evitare o risolvere un conflitto al fine di preservare il bene comune, nella dimensione impolitica l’essere umano, al contrario, crea un conflitto per evitare l’incontro. Non è un caso, del resto, che lo strumento politico della Grecia antica – da cui deriva l’idea di democrazia occidentale odierna – era il dialogo che si svolgeva o nell’agorà o nell’Areopago, mentre lo strumento “politico” dell’Islam è lo jihad. Nella visione islamica, infatti, il mondo è suddiviso in due parti nette e separate: da un lato il “Dar al-Islam”, cioè la parte del mondo già sottomessa all’Islam, dall’altro lato il “Dar al-ḥarb”, cioè la parte del mondo in cui è lecito condurre la guerra al fine di sottometterla all’Islam. Gli islamici che vivono nella parte sottomessa, peraltro, hanno il compito di condurre la guerra, mediante lo jihad, nella parte non islamica per islamizzare gli infedeli che islamici ancora non sono.
In questo scenario è possibile definire impolitico l’Islam per tre ordini di ragioni. In primo luogo, perché per la dimensione politica non c’è un autentico spazio nella prospettiva islamica dell’esistenza, poiché la dimensione teologica con i dettami di Allah non lascia spazi vuoti, tanto che i precetti di ordine politico sono contenuti e disciplinati dallo stesso Corano. In secondo luogo, la creazione di un incontro politico, cioè aggregativo, viene meno ancora prima che possa profilarsi, poiché il medium relazionale non è il dialogo, ma la guerra che conduce all’atto di sottomissione. In terzo luogo, l’Islam è sostanzialmente impolitico perché si fonda su una concezione della vita in cui tutta l’esistenza, cominciando da quella più propriamente politica, è scandita dalla insanabile dicotomia fedeli-infedeli, in cui i primi devono assoggettare o eliminare i secondi. Con lo scontro bellico come fondamento unico dei rapporti tra individui, tra gruppi o tra popoli, è sostanzialmente impossibile creare una comunità politica, come, per esempio, quella democratica ateniese o quella occidentale odierna.
Tutto ciò considerato, tuttavia, tra l’Occidente apolitico e l’Islam impolitico, per quanto distanti possano apparire tra loro, si può rintracciare un comune elemento che li lega secondo una relazione di reciprocità inversa. L’autentica causa della apoliticità dell’Occidente, infatti, è da rinvenire nell’aver reciso sempre più drasticamente il rapporto con la trascendenza, cioè aver dimenticato che la relazionalità politica dell’essere umano si fonda su quella relazionalità primigenia che la creatura non può non avere con il suo Creatore. La autentica causa della impoliticità dell’Islam, invece, è da rinvenire nella dinamica opposta, cioè nell’aver annullato la dimensione dell’immanenza – con le sue diversità – schiacciata sotto il peso della divinità di Allah. Se l’Occidente apolitico ha sgomberato il campo dell’esistenza dalla trascendenza occupandone tutto lo spazio con una visione antropocentrica, ma ritrovandosi ben presto in una landa deserta senza senso, l’Islam impolitico al contrario ha occupato l’intero campo dell’esistenza con il volere di Allah che non lascia all’uomo, e al suo essere politico, alcuno spazio, nemmeno quello per la ricerca del senso.
Se l’Occidente apolitico ha rinunciato alla comprensione del mondo secondo una scala di valori, l’Islam impolitico non concepisce alcun mondo al di fuori dei valori di Allah. In questo senso l’Occidente apolitico, privo di ogni riferimento, oramai mette tutto in discussione, anche il senso, e non giunge a nulla, mentre l’Islam impolitico, con un solo unico riferimento, non discute di nulla e non giunge mai al senso. Probabilmente, allora, si tratta di due facce della stessa medaglia: il nichilismo feroce che dall’interno – tramite una modalità sottrattiva nel primo caso e tramite una modalità additiva nel secondo caso – erode l’essere umano come essere politico, nonché la sua stessa comprensibilità. Se l’Occidente – l’unico tra i due ad avere maggiori probabilità di risolvere i propri problemi – intende mutare davvero la situazione della propria stessa impotenza dinnanzi all’aggressività islamica deve cominciare a ponderare attentamente sulle predette dinamiche che ne paralizzano l’azione e la riflessione, deve tornare ad una più pura consapevolezza di sé, abbandonando la sua apoliticità. Deve tornare cioè a quell’antico e archetipico “γνῶθι σεαυτόν” (nosce te ipsum, conosci te stesso) su cui si fondano la sua razionalità dimenticata e la sua stessa ragion d’essere come base di una autentica politicità, cioè il solo elemento in grado di opporsi alla violenza silenziosa e subdola del nichilismo e a quella armata ed esplosiva dello jihadismo.
Aggiornato il 19 ottobre 2023 alle ore 09:54