Il partito della spesa pubblica

Come era inevitabile che accadesse a un Paese gravato da un debito pubblico colossale, la crisi mediorientale ha sensibilmente appesantito la già complicata condizione italiana. Una condizione resa evidente dall’aumento del famigerato spread, ovvero la differenza di rendimento tra il Btp decennale e l’omologo Bund tedesco. E, in modo altrettanto inevitabile, è ripartita la macchina propagandistica dell’opposizione di sinistra e dei suoi addentellati sindacali, con in testa la Cgil di Maurizio Landini. In estrema sintesi, si accusa il Governo guidato da Giorgia Meloni di non allentare ulteriormente i cordoni della borsa, come se i circa 15 miliardi di deficit aggiuntivo, che in totale fanno sforare i conti pubblici di 23/24 miliardi, siano bruscolini. In realtà, è ancora una volta la sostenibilità di un debito pubblico che viaggia verso i tremila miliardi di euro che, a mio avviso, avrebbe dovuto imporre alla maggioranza una Legge di Bilancio decisamente più parca.

Ma, dal momento che siamo in democrazia, con lo spettro ancora presente dell’antipolitica che si è fatta sistema, il centrodestra ha dovuto, ancora una volta, usare il bilancino per cercare, come si suol dire, di ottenere la classica quadratura del cerchio. Di fatto, pur con un impianto timidamente – per forza di cose – orientato a favorire lo sviluppo delle attività produttive private, poco o nulla si è mosso sul piano del bubbone della spesa corrente, la cui enorme dimensione impedisce a qualunque Esecutivo di rilanciare la crescita economica attraverso la via maestra di un sostanziale abbassamento della pressione fiscale allargata. Una missione quasi impossibile in una democrazia che, occorre ricordare, appena cinque anni fa ha mandato nella stanza dei bottoni, con una percentuale bulgara, proprio i campioni della spesa pubblica: gli scappati di casa del Movimento 5 stelle.

Lo stesso partito che è riuscito a creare un buco colossale nei conti pubblici con misure a dir poco demenziali – su tutte il Superbonus edilizio che è costato oltre cento miliardi – e che oggi rimprovera l’Esecutivo Meloni di non seguire la loro linea catastrofica. Nel commentare le indicazioni fornite dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, ecco le dichiarazioni del presidente del M5s, Giuseppe Conte: “Non possiamo condividere impianto né contenuto di una manovra economica che non preannuncia nessuna misura per la crescita e per gli investimenti di cui ha bisogno il Paese e non risolve neppure il problema del caro prezzi che sta affliggendo l’intera popolazione. Preannuncio il nostro voto negativo: non possiamo sostenere questo Governo e siamo fortemente preoccupati per una miopia che riguarda le prospettive economiche e sociali”.

Tutto questo detto da chi pensava di abolire la povertà per decreto, raccontando ai suoi ignari elettori che avrebbe abbattuto sensibilmente il nostro enorme debito pubblico risparmiando qualche briciola sulle spese militari, risulta abbastanza comico. Solo che per chi si trova in questo momento ad affrontare la drammatica complessità di un bilancio pubblico ulteriormente devastato di chi lo ha preceduto, c’è ben poco spazio per l’ilarità.

Aggiornato il 17 ottobre 2023 alle ore 10:17