L’avevamo pronosticata nei giorni scorsi e puntualmente si va materializzando l’inversione di rotta di una parte delle opinioni pubbliche occidentali sull’attribuzione delle responsabilità della crisi tra Israele e Hamas. Come prevedibile, a cambiare idea sul vincitore della palma del cattivo (Hamas o Israele), è il popolo della sinistra progressista, per il quale the winner is Israele. E le centinaia di cadaveri di israeliani orrendamente oltraggiati dai tagliagole di Hamas? Non rilevanti tanto quanto l’intenzione dello Stato ebraico di voler contrattaccare. Non c’è da meravigliarsi, la verità è che un certo mondo “evoluto” e buonista ha sempre fatto fatica a riconoscere una qualche ragione allo Stato ebraico circa il diritto all’autodifesa, per non dire di quello all’esistenza. Non sarebbe stato possibile altrimenti, giacché è la sinistra progressista l’erede e la depositaria della tradizione di antisemitismo che ha caratterizzato negli scorsi secoli il contesto delle nazioni europee. Non c’è stata solo la Germania hitleriana. Per la massa dei credenti in Hamas il non detto è: se non è politicamente corretto appoggiare apertamente i disegni islamisti sulla cancellazione dello Stato d’Israele dalla carta geografica, è quanto meno lecito gradire che si impartisca una sonora lezione ai sionisti, tacciati di razzismo verso i “buoni” palestinesi.
È inutile negarlo, dei figli di Noè è Sem, capostipite dei popoli di mezzo, quello che sta sulle scatole a tutti loro. E per i suoi discendenti vale il medesimo sentimento. Sono stati i tagliagole di Hamas dieci giorni orsono a commettere atrocità indicibili; a colpire vigliaccamente civili inermi; a uccidere, violentare e prendere ostaggi. Israele si limita a reagire. Eppure, cosa scrivono e dicono i media occidentali, organici alle sinistre progressiste? Che occorre mettere paletti alla risposta armata; che Israele esagera nella reazione; che bloccare le forniture elettriche, energetiche e alimentari destinate alla popolazione di Gaza è un crimine di guerra; che i nuovi nazisti non sono coloro che rastrellano e ammazzano gli ebrei, ma gli ebrei medesimi che si difendono. Roba da matti! E poi, l’ultima arrampicata sugli specchi in assenza di argomenti validi da opporre al diritto dell’offeso a reagire: Hamas non è la Palestina. Quindi, i civili palestinesi non hanno nulla a che fare con i sanguinari che, “casualmente”, governano la Striscia di Gaza. Va bene, siamo disposti anche a crederlo a patto però che quei civili lo dimostrino. L’occasione per farlo c’è.
Il ministro dell’Energia israeliano, Israel Katz, ha comunicato che non permetterà che alcun aiuto venga fornito alla popolazione fin quando Hamas tratterrà gli ostaggi catturati durante il raid messo a segno. È una proposta sensata che trova applicazione in vicende di ordine pubblico interne agli Stati democratici. Se una banda di rapinatori prende in ostaggio delle persone all’interno di una banca, la prima cosa che fanno le forze speciali per risolvere la crisi è di staccare la corrente elettrica e il gas all’edificio in cui è avvenuta la rapina. L’obiettivo è di mettere alle strette i malfattori perché si arrendano. Se però, durante il negoziato per la resa, i sequestratori chiedono acqua o cibo o materiale sanitario di pronto soccorso, le Forze dell’ordine prendono in considerazione la richiesta a condizione che i sequestratori mostrino buona volontà rilasciando una parte degli ostaggi, a cominciare dai feriti, a seguire anziani, donne e bambini. Se vale per i comuni delinquenti perché non dovrebbe valere per i pendagli da forca di Hamas? Vogliono che la popolazione non rimanga a secco? Allora facciano la prima mossa liberando una parte dei cittadini sequestrati. Ma quelli di Hamas non ci pensano a mollare la presa sul tesoro conquistato nel corso della mortifera scorribanda. È comprensibile, stando alla logica dei criminali, che non ci stiano a cedere. Lo è molto meno il comportamento di quel popolo che, nella narrazione edulcorata dei progressisti occidentali, dovrebbe essere altra cosa rispetto al male assoluto incarnato da Hamas. Sarà che non abbiamo la vista dell’aquila né l’udito del pipistrello, ma tutta questa gente di Palestina disposta a dire ai miliziani di Hamas “fermatevi e rilasciate gli ostaggi” non l’abbiamo vista né sentita. Invece, abbiamo ascoltato la solita giaculatoria contro Israele e nessuna critica ai propri sodali che si sono macchiati di atroci nefandezze.
Se ne ricava che popolo e terroristi siano sulla stessa lunghezza d’onda. A casa nostra tale sintonia si chiama complicità. Quand’è così è giusto che subiscano la stessa sorte dei loro fratelli in armi. Al momento in cui scriviamo il Governo d’Israele tiene il punto sull’assedio a Gaza. Preghiamo perché non retroceda dal suo intento di annientare Hamas. La guerra al radicalismo islamico non è affare privato dello Stato ebraico ma è la lotta che un Occidente sano di mente e non preda di pericolose derive suicide dovrebbe considerare indispensabile per la propria sopravvivenza. Sotto il profilo etico, le guerre possono essere giudicate giuste o ingiuste. Ma vi sono anche guerre necessarie. È quella di Israele contro Hamas lo è. Tanto peggio sarà per noi occidentali se non lo capiremo per tempo.
Aggiornato il 16 ottobre 2023 alle ore 09:59