La vita come effetto collaterale

Ogni giorno leggiamo analisi, previsioni, motivazioni, ragioni storiche-culturali divampate a seguito dell’attacco allo Stato ebraico. In tanti, esperti con merito o presunti tali, dicono i “perché” e illustrano i “per come” relativi a un odio che ha mostrato la propria faccia nei recenti massacri. Qualcuno sforna lezioni proprio qui da noi, dove per fortuna le bombe sono solo virtuali. C’è, comunque, il tempo di dividerci in curve da stadio, mandando semmai un selfie dal baretto. Nel mezzo, però, ci sono i morti. Quelli veri. E la vita umana, di colpo, da prezioso dono diventa un effetto collaterale. Cadaveri per strada, ragazzi trucidati durante un rave party per la pace (proprio così), bambini sgozzati o corpi di infanti carbonizzati, famiglie intere sotto le macerie, ostaggi utilizzati come scudi umani, picchiati e caricati a forza su camionette o moto, bimbi israeliani cullati dai terroristi di Hamas. La privacy stuprata. Il sangue che bagna la vita quotidiana.

Ma anche l’ospedale di Gaza (dove ci sono pure civili a cui non importa un fico secco di battaglie in nome di qualcuno o qualcosa) che non ha ambulanze, le medicine scarseggiano. L’acqua è un miraggio e chi ce l’ha, se la tiene. Di elettricità, nemmeno l’ombra. Il cibo? Manco a parlarne. Gli israeliani invitano i civili a scappare – da nord – verso sud. Un massacro nel massacro, macerie su macerie. Amos Oz – scrittore israeliano – diceva: “Chi non sa distinguere tra i gradi di malvagità, è destinato a diventare schiavo del male”. Per la malvagità umana continueranno a morire innocenti. Li chiamano effetti collaterali. E per quelli, purtroppo, non c’è medicina.

Aggiornato il 16 ottobre 2023 alle ore 10:35