Il piatto piange

La prima grande verifica elettorale, ossia le Europee del 2024, si avvicina e, nell’imminenza della prossima Legge di bilancio, sono già iniziate le fibrillazioni sui temi che stanno più a cuore ai partiti della coalizione di maggioranza.

Non poteva ovviamente mancare il tema delle pensioni, da sempre un cavallo di battaglia della Lega, il cui leader non perde occasione per rimarcare il suo ben noto attivismo a 360 gradi.

Come riporta Il Sole 24 Ore, l’Esecutivo sta studiando alcune possibili escamotage per allargare la platea della cosiddetta Opzione donna, che nella precedente manovra, la prima targata Giorgia Meloni, aveva i paletti piuttosto stretti. In particolare, il meccanismo introdotto consente l’uscita a 60 anni (insieme a 35 anni di versamenti), vincolata al ricalcolo contributivo dell’assegno, con lo sconto di un anno per le donne con un figlio (pensionamento a 59 anni) e di due anni per quelle con più figli (pensionamento a 58 anni), ma limitando l’accesso alla pensione solo ad alcune specifiche categorie di lavoratrici: caregiver; con almeno il 74 per cento di invalidità civile; “licenziate”; dipendenti di aziende in crisi).

In soldoni, ciò ha ridotto la platea potenziale nel 2023 a non più di 2.900 lavoratrici, mentre nel 2022, prima di questa stretta, quando il pensionamento era consentito con 58 anni d’età (59 per le “autonome”), le uscite attraverso questo canale pensionistico erano state quasi 24mila.

Ora, al di là delle complesse opzioni che si stanno discutendo per raggiungere l’obiettivo di mandare a riposo un buon numero di donne, molte delle quali a 58 anni di età, mi sembra doveroso osservare la situazione generale della spesa pensionistica in relazione al complesso della spesa pubblica.

Le uscite per il welfare sono aumentate di 18 miliardi di euro nel 2022 rispetto all’anno precedente, raggiungendo i 615 miliardi. L’incremento rispetto all’anno pre-Covid, il 2019, è del 18 per cento circa. È la stima elaborata dal think tank “Welfare, Italia” supportato dal gruppo Unipol in collaborazione con la società di consulenza e ricerche The European House Ambrosetti. La previdenza assorbe sempre circa la metà della spesa totale (il 48,4 per cento nel 2022 per un ammontare di 297,4 miliardi) ed è aumentata dell’8,2 per cento rispetto al 2019. La sanità rappresenta il 21,8 per cento del totale a 134 miliardi nel 2022 ed è aumentata del 15,9 per cento in tre anni, la spesa per le politiche sociali costituisce il 18,2 per cento del totale a 112,3 miliardi (con un balzo del 30 per cento post-Covid).

Ebbene, non ci vuole un genio per comprendere che sulla base di questi numeri agghiaccianti, che nel complesso superano ampiamente l’intera spesa pubblica, il tempo dei cosiddetti pasti gratis, alias comprarsi il consenso con ogni tipo di prebenda pubblica, è finito, soprattutto in relazione ad un indebitamento dello Stato cresciuto dall’inizio della pandemia di oltre 40 punti percentuali, e che sta correndo velocemente verso i 3.000 miliardi di euro.

In questo senso, anziché raschiare il fondo di un barile oramai logoro, attraverso i classici illusionismi della politica del giorno per giorno a base di ulteriori sforamenti nei conti pubblici, sarebbe forse il caso di raccontare al Paese la verità nuda e cruda circa la reale, difficile situazione di un sistema economico che è sempre più zavorrato da ciò che lo Stato spende e redistribuisce e che, proprio per questo, non cresce in modo sufficiente. Ma è anche vero che invertire la rotta di un sistema politico condannato alla perenne alternanza obbligatoria implica una visione e un coraggio politico che, potenzialmente posseduto, nell’ambito di una coalizione risulta assai difficile mettere a frutto.

Aggiornato il 23 settembre 2023 alle ore 14:37