Avete presente il destino che ha avuto Dante Alighieri, meglio conosciuto come il sommo poeta ma anche come il ghibellin fuggiasco? Egli per tutta la sua esistenza visse – e poi morì – in esilio. A Ravenna. Incompreso e odiato dagli abitanti della sua Firenze.
Ebbene quel destino in questi anni, almeno dal 2000 in poi, è diventato comune per molti di noi. Quasi tutti, tendenzialmente. Ma l’esilio di cui oggi soffriamo le pene è quello ormai divenuto permanente dalla cultura e da una vita vera, condotta realmente e non virtualmente. Un esilio determinato da tecnologie usate male dall’uomo e che anzi lo usano, si impadroniscono della sua vita e anche della sua anima. Un esilio che è anche dall’intelligenza e dal buon senso. Cui come al solito si è sostituito il senso comune. Quello delle mode imperanti, che vanno dall’uso pericoloso del monopattino di notte contromano nelle metropoli all’attraversamento delle strade guardando i messaggi su WhatsApp.
In un mondo che accetta queste idiozie come prassi è logico che gli altri, quelli che sono obbligati a frenare per evitare di ammazzare uno di questi deficienti, si sentano in esilio pure stando nella propria patria. Ma a parte questi paradossi quotidiani peraltro assai frequenti, è ovvio che la sensazione di essere esuli si sostanzia soprattutto nella estraneità che viene indotta dal linguaggio bassamente propagandista della politica di oggi. Una bassezza e una mala fede che non risparmiano nessuno: destra, sinistra, centro, antipolitica. Con l’effetto collaterale di spingere gli esuli a non votare e a ingrassare più o meno consapevolmente le fila del qualunquismo, calcolato a tavolino. Persino – e per primo – il Papa si è accorto di questa tendenza nauseante e vomitevole. Se non partecipi, non dai fastidio a chi sta trasformando la democrazia in democratura a forza di slogan, semplificazioni e scorciatoie per il consenso. E questo porta dall’esilio politico, a quello culturale e intellettuale.
I meriti di chi non è incasellato nelle squallide consorterie della attuale pseudo intellighenzia non verranno mai riconosciuti. Nell’arte, nella letteratura, nel cinema e nel vivere quotidiano. Questa emarginazione di massa – indotta e studiata a tavolino da chi vuole accaparrarsi le leve di ogni potere, senza neanche fare troppi sforzi prevaricatori e repressivi – si è trasformata in un vero e proprio esilio di massa. Un processo di rassegnazione diffuso che ormai rappresenta la cifra del vivere quotidiano.
Eppure, una possibilità di riscatto esiste. Riprendiamoci la nostra vita vera e non virtuale. Quella che abbiamo conosciuto fino alla fine del secolo e del Millennio passato. Siamo noi i padroni della tecnologia e non viceversa. Non facciamoci buggerare dai teorici del nulla, che parlano di intelligenze artificiali al potere, proprio loro che sono delle notorie teste di cavolo al naturale. Ricordiamoci gli aneddoti della vita del grande Eduardo De Filippo che quando gli telefonava la Rai mentre si trovava a teatro per le prove, e qualche suo collaboratore lo avvisava trafelato che “c’è la televisione al telefono”, lui rispondeva: “E tu passagli il frigorifero”.
Non c’è Metaverso che tenga: i social media sono e rimangono i contenuti di elettrodomestici chiamati pc, smartphone o tablet. Non possono e non devono condizionarci. Siamo noi che dobbiamo condizionare loro e chi li gestisce. Inventiamo i “cookie” di ritorno. Torneremo presto da questo esilio e in massa. E allora ci sarà da ridere ma anche da piangere. “Temete l’ira dei giusti”, diceva qualcuno. Molto ma molto in alto…
Aggiornato il 19 settembre 2023 alle ore 10:00