La crisi dello Stato

Lo Stato è in crisi. Si sa, e si sa da tempo. Del resto, se in crisi sono il giurista e il diritto in quanto tale, non si vede perché lo Stato non debba esso stesso attraversare la sua propria crisi.

Che lo Stato sia in crisi non è certo né una notizia nuova, né un fatto trascurabile, ma ciò che è inedito è che per un verso sia stata perduta la consapevolezza che lo Stato è in crisi e, per altro verso, che tale crisi non venga più posta come oggetto di riflessione, essendoci quasi tutti abituati a ritenere che lo Stato non possa che essere in crisi e, rassegnati alle circostanze, si preferisca così occuparci d’altro.

La crisi dello Stato è facilmente esperibile, ma al di là della semplice e pur evidentissima incapacità gestoria della res pubblica, sol che si ponga mente e tempo alla sua comprensione. Occorre intendere la questione nel modo corretto, tuttavia, per cui bisogna guardare al di là della atavica crisi della scuola pubblica e dell’università, oltre la strutturale crisi del sistema giudiziario, più in profondità della grave crisi del Sistema sanitario nazionale, superando la endemica crisi della politica, oltrepassando la eterna crisi delle finanze pubbliche, scavalcando tutte le singole crisi localizzate all’interno del cosiddetto Stato-apparato, per concentrarsi sulla crisi dello Stato in quanto tale, cioè su qualcosa di più e di diverso rispetto alla somma di tutte le predette e di tutte le ulteriormente elencabili crisi.

In prima approssimazione occorre prendere atto che lo Stato è in crisi sia nell’alveo di coloro che propugnano una visione statalista della vita politica e giuridica, sia nell’alveo di coloro che, invece, al contrario professano una marcata visione anti-statalistica. Le due predette visioni, dunque, l’una per cui lo Stato deve pervadere praticamente ogni aspetto della realtà e della vita umana, l’altra per cui lo Stato deve essere del tutto assente da quanti più ambiti possibili dell’esistenza, appaiono non soltanto oramai obsolete e segnate dal tempo, ma insufficienti e inadeguate per dar conto sia dello Stato che, a maggior ragione, della sua crisi.

Nella prospettiva statalista la crisi dello Stato emerge in un doppio contesto, uno positivo, in cui lo Stato dovrebbe affermarsi e non si afferma, e uno negativo, in cui lo Stato non dovrebbe astenersi, ma si astiene: nel primo caso si tratta del livello di ordine e sicurezza che la coercizione pubblica dovrebbe garantire per la civile convivenza; nel secondo caso si tratta del livello di assistenzialismo (sanitario, fiscale, previdenziale) necessario e sufficiente affinché possa continuare a pensarsi il legame sociale come qualcosa informato dalla cifra della solidarietà e non del mero individualismo.

Nella prospettiva anti-statalista, la crisi non è meno evidente, e, anche in questo caso, secondo una duplice epifania: per un verso, infatti, avendo subito lo Stato una notevole forma di deminutio dinnanzi al crescente potere delle grandi multinazionali che oramai esercitano – sul piano internazionale e globale – una influenza politica, economica e umana maggiore di quella di moltissimi Paesi, lo Stato in quanto tale è severamente messo in discussione dai sostenitori di una predetta evoluzione; per altro verso, proprio l’intrusione sempre più massiva dello Stato nella vita lavorativa, patrimoniale, fiscale, biologica dei cittadini lascia presagire la sua trasformazione verso un sistema sempre più totalitario che, come la storia ha ampiamente dimostrato, è sempre stato l’emblema della crisi dello Stato, più che la sua autentica concretizzazione.

Nonostante ciò, tuttavia, occorre superare la dicotomia orizzontale e immergersi nella riflessione verticale e porsi alcuni interrogativi imprescindibili: a che serve oggi lo Stato? Esiste una alternativa tra lo Stato minimo libertario e lo Stato massimo totalitario? Lo Stato con le istituzioni digitalizzate è ancora rispondente al classico concetto di Stato? Può davvero esistere uno Stato privato della sovranità che con il territorio e il popolo è uno dei suoi tre elementi costitutivi? Può esistere uno Stato senza confini come pretenderebbe l’ideologia internazionalista che agevola e sostiene l’emigrazione senza limiti? Può esistere uno Stato senza popolo come coacervo di radici comuni culturali, storiche e spirituali come pretenderebbe l’ideologia multiculturalista che agevola e sostiene l’immigrazione senza limiti?

La questione è senza dubbio lunga e complessa, ma si può sintetizzare nel modo seguente. Lo Stato, oggi, è in crisi in quanto in crisi sono i suoi elementi costitutivi, cioè la territorialità, la sovranità e il popolo. Se la territorialità è lo spazio fisico sul quale lo Stato esercita il proprio potere giuridico e politico, essa oggi è in crisi a causa di almeno tre fattori principali: la digitalizzazione dell’esistenza che trasferisce nello spazio virtuale i rapporti di forza tra cittadini, tra cittadini e istituzioni, e tra istituzioni statali e istituzioni sovra-statali; l’incremento dell’influenza delle grandi multinazionali che non soltanto non possiedono un territorio, ma il più delle volte sono ubicate simultaneamente su più territori di diversi Stati, vanificando il concetto stesso di confine; la diffusione dell’ideologia “internazionalista” in virtù della quale occorre sempre più erodere il concetto stesso di territorialità nell’ottica di rapporti internazionali privi di limiti e frontiere.

Se la sovranità è la capacità dello Stato di esercitare sul proprio territorio il proprio potere in maniera indipendente e originaria, essa oggi è in crisi per almeno tre cause tra loro distinte, ma interconnesse e concorrenti al medesimo risultato: la creazione di sistemi sovra-statali che rivendicano per se stessi una sovranità superiore rispetto a quella primigenia dei singoli Stati, come, per esempio, accade nel sistema comunitario dell’Unione europea; lo sviluppo di politiche finanziarie globali che scavalcano la natura e i limiti della sovranità statale vanificandone spesso la cogenza e l’effettività; la diffusione di ideologie che, equivocandone la natura, intendono la sovranità come prodromica dei nazionalismi imperialistici novecenteschi, tendendo, dunque, a ridimensionarla o annullarla in sistemi alternativi come le agenzie non-governative o gli enti sovranazionali.

Se il popolo è l’insieme degli individui che gode di specifici diritti e doveri in virtù della propria cittadinanza quale appartenenza ad un medesimo Stato e quale insieme culturalmente omogeneo, esso oggi è in crisi per tre distinte ragioni: per l’erosione di una concezione assiologicamente fondata dei diritti fondamentali, sostituita da una visione dei medesimi socio-storicamente determinata; per la creazione di meccanismi multiculturalisti che attraverso i fenomeni migratori depotenziano la comune identità culturale dei popoli; per la diffusione di ideologie anti-identitarie che, equivocandone la natura, intendono il popolo in modo puramente formale, cioè come aggregato privo di valori, tradizioni e cultura comune.

Una volta che la territorialità, la sovranità e il popolo sono in crisi, lo Stato non può che diventare lo spettro di se stesso, riducendosi a mero apparato di organizzazione del potere repressivo e del potere militare, perdendo la propria connotazione autenticamente giuridica e specificamente umana. In questa direzione, allora, è quanto mai opportuno ripensare lo Stato odierno, tornando a riflettere sulla sua crisi quale espressione ulteriore di minaccia per la tutela giuridica reale della dignità umana, poiché uno Stato in cui si è perduta di vista la linea dell’orizzonte del valore della persona è uno Stato sostanzialmente autoreferenziale che come tale non è soltanto inutile, ma, ancor peggio, dannoso.

Per fuoriuscire da una tale grave forma di crisi occorre quanto prima recuperare il senso autentico dello Stato quale risultato di territorio, sovranità e popolo, poiché soltanto essi rappresentano non soltanto gli unici elementi costitutivi della sua essenza e legittimanti della sua esistenza, ma anche gli unici limiti razionali del suo agire, poiché uno Stato che agisce contro il proprio territorio, la propria sovranità e il proprio popolo diventa la negazione di se stesso e della sua stessa ragion d’essere.

Aggiornato il 19 settembre 2023 alle ore 10:00