Ci voleva il fattaccio di Caivano per spingere il Governo a intervenire sul problema (diffuso) della criminalità minorile. Lo stupro delle due cuginette di Parco Verde ha avuto per le istituzioni il medesimo effetto che ebbe la pistolettata di Sarajevo nel 1914. Quest’ultima provocò lo scoppio del Primo conflitto mondiale; la violenza sulle due ragazzine ha convinto il Governo Meloni a scendere in guerra contro la criminalità organizzata. Già, perché di questo si tratta. Il contrasto alle organizzazioni criminali non si attua con le promesse altisonanti infarcite di pseudo-sociologismo sessantottino e altre menate del genere, che sono roba da “intellò” di sinistra.
Il Governo ieri ha varato il Decreto che reca “misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile”, meglio noto come “Decreto Caivano”. La sinistra attraverso i media ad essa organici, ancor prima di leggerne il contenuto, è salita sulle barricate accusando l’Esecutivo di perseguire metodi repressivi inidonei a debellare il fenomeno alla radice. È bene essere chiari, anche a destra con gli amici ipergarantisti: in certi posti, come il Parco Verde di Caivano, la prudenza delle istituzioni pubbliche nell’intervenire è acqua fresca. Occorre la mano pesante per troncare la prossimità esistenziale che lega il malaffare in tutte le sue gradazioni – dai reati bagatellari alla grande criminalità organizzata – a un affollato segmento di popolazione il quale sente di appartenere all’anti-Stato riconoscendo nello Stato legale l’hostis, il nemico naturale. Non è un’iperbole, ma la cruda realtà: lo dicono i numeri.
Quando il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, rivela in un’intervista a il Mattino di Napoli che nell’area del Parco Verde di Caivano, nell’ultimo anno, sono stati eseguiti 225 arresti e 400 deferimenti all’Autorità giudiziaria sta implicitamente ammettendo che non è in gioco l’ordinaria attività di prevenzione e repressione di alcune tipologie di reati svolta dalle Forze dell’ordine, ma che è in corso una guerra nella quale lo Stato è parte belligerante. Un numero tanto elevato di arresti e denunce all’Autorità giudiziaria in un territorio circoscritto che contiene circa 6mila abitanti è un’enormità.
La sinistra attribuisce alla mancanza di lavoro e al disagio sociale la condizione di illegalità alla quale i malcapitati sarebbero inchiodati pur di sopravvivere. È una sorta di tacita impunibilità invocata dai “buonisti” per cause di forza maggiore: non è colpa loro se delinquono ma della società che li costringe a farlo. Sono tutte balle. La verità è che nelle zone ad alta densità criminale c’è gente che sceglie consapevolmente di stare dalla parte della malavita per il semplice motivo che ne ricava un profitto superiore a quello che un qualsiasi lavoro onesto e regolare gli offrirebbe. Gli istituti di statistica, quando fanno rilevazioni sul tasso di occupazione in alcune periferie metropolitane, pongono agli intervistati la domanda sbagliata. Se estendessero il quesito a tutti i tipi di lavori, compresi quelli illegali o apertamente criminali, otterrebbero risultati sorprendenti, in totale controtendenza rispetto a quelli che normalmente rilevano. Scoprirebbero ad esempio che il tasso di occupazione nell’area del Parco Verde sarebbe tra i più alti d’Italia. Il numero degli arresti effettuati a Caivano lo attesta. Davvero qualcuno è tanto ingenuo da pensare che la massa urlante a favore di telecamere, che si è vista in strada il giorno dopo la visita della presidente Meloni al Parco Verde, non abbia un euro in tasca e attenda il Reddito di cittadinanza per mettere un piatto in tavola? C’è un modo piuttosto spiccio di verificare quanto asseriamo. Fatevi un giro per le periferie degradate delle vostre città o nei quartieri popolari del centro, dove è noto che vi siano piazze di spaccio della droga e provate a contare quante automobili di lusso e quante motociclette di grossa cilindrata sono parcheggiate davanti agli androni degli edifici fatiscenti. E quante telecamere e cancelli blindati sono sistemati a protezione delle abitazioni dei presunti nullatenenti. Un morto di fame una Bmw serie 6 Gt, una Maserati Folgore o, per stare sulle due ruote, una Honda Goldwing non se la può permettere. Se per questo, neanche un vecchio, scassato Piaggio Ciao si può permettere. Allora, come si spiega che per le strade del degrado Bmw, Maserati e Honda sfrecciano indisturbate? Nessuna meraviglia che i minori di quell’ambiente sociale abbiano come riferimenti “culturali” i delinquenti maggiorenni. Nessuna meraviglia che ad essi si ispirino, soprattutto nel modo di procurarsi la ricchezza, e di essi desiderino al più presto prendere il posto nella catena produttiva e nelle gerarchie di comando delle organizzazioni malavitose.
Si è fatto un gran parlare di dispersione scolastica. Pensate davvero che non vi sia consapevolezza e sostegno dei genitori nel comportamento del minore incline alla diserzione dalla scuola? Il business della criminalità organizzata offre interessanti prospettive di guadagno, possibilità di carriera e assicura un welfare alternativo alle famiglie che ne riconoscono la giurisdizione territoriale e sociale. In un tale, benché anomalo, sistema produttivo i minori rappresentano – parafrasando Karl Marx – l’esercito industriale di riserva della malavita. L’efficacia dell’azione repressiva dello Stato costringe la manovalanza criminale a un costante turnover. Allo spacciatore finito in galera deve necessariamente subentrare qualcuno pescato dal suo nucleo famigliare. Non importa che siano madri, mogli, sorelle, fratelli o figli, ciò che conta è che la macchina della distribuzione degli stupefacenti non si fermi. Se questo è il presupposto economico che spinge tanti minorenni a disertare la scuola per dedicarsi ad attività ben più lucrative, non stupitevi che poi alcuni di loro finiscano sui giornali per gravi fatti di cronaca, magari per aver ucciso con la pistola che hanno in tasca – che è principalmente uno status symbol – senza alcun motivo razionale un innocente. È accaduto alcuni giorni orsono a Napoli, nella centralissima piazza Municipio. La vittima si chiamava Giovanbattista Cutolo – per gli amici Giogiò – di anni 24; musicista dell’orchestra Scarlatti Camera Young, suonava il corno. Il killer, un sedicenne con la pistola. Ben vengano allora le misure draconiane contenute nel “Decreto Caivano” per porre un freno a un fenomeno criminale dilagante.
Nel pacchetto sicurezza è previsto, tra gli altri provvedimenti, l’adozione del Daspo per i minori che delinquono, cioè è finalmente applicabile l’allontanamento dal proprio contesto di vita dei giovanissimi appartenenti a baby gang riconosciuti responsabili di gravi reati. È un buon primo passo, ma bisogna insistere su questa strada, che è quella giusta. Il Governo deve essere più coraggioso nel provare a spezzare il nodo gordiano che unisce in un insano rapporto di connivenza-complicità genitori e figli. Se davvero si vuole eradicare il fenomeno della delinquenza minorile non è sufficiente prevedere il carcere per i genitori che non provvedono a mandare i figli a scuola. Si deve tagliare di netto il cordone ombelicale che li tiene insieme. Bisogna che venga rafforzata la normativa sulla decadenza dalla responsabilità genitoriale, ampliando il numero di fattispecie per le quali il pubblico ministero può richiederla come misura di prevenzione al Tribunale dei minori. Se davvero si vogliono salvare quei ragazzi da un futuro di carcere o di morte, bisogna strapparli alle famiglie e trasferirli in luoghi socialmente salubri dove poter vivere un’adolescenza normale. Allo scopo, potrebbe ausiliare l’azione dello Stato, ancor più che l’inferno in terra delle case-famiglia, la rete di genitori affidatari disponibili a fare col minore e del minore ciò che i genitori naturali non hanno avuto interesse a fare. Potrà sembrarvi disumana una proposta del genere, ma da quando il medico pietoso impedisce che la piaga si faccia verminosa? Si obietterà: le scuole che sono sul territorio e che fanno miracoli per aiutare i ragazzi, le chiudiamo? Niente affatto. I presidi educativi presenti nelle aree degradate devono continuare a fare il loro lavoro per quella parte di popolazione scolastica “sana” che c’è ma che subisce la sopraffazione e la prepotenza dei coetanei avviati al crimine.
Noi tutti siamo cresciuti nella convinzione della fondatezza del principio ciceroniano della “Historia, magistra vitae”. Se è nel passato che dobbiamo cercare le risposte a un problema di straordinaria gravità, guardiamo all’Antica Grecia. A Sparta i bambini, dai 7 ai 12 anni, venivano sottratti alle famiglie e arruolati dallo Stato, che li affidava a un educatore. Sebbene siano trascorsi più di duemila anni dai fasti della città-Stato del Peloponneso, l’Agoghé (ἀγωγή) a cui si sottoponevano gli spartiati funzionò a dovere. Forse, è ciò che ci vorrebbe oggi. Più che un “Decreto Caivano”, un “Decreto Sparta”.
Aggiornato il 08 settembre 2023 alle ore 12:43