Matteo Renzi è disperato. La sua idea di trasformarsi nell’ago della bilancia della politica italiana è miseramente naufragata. Fuori dai Palazzi della politique politicienne c’è un’Italia francamente stufa dei giochi di potere e che, alle elezioni dello scorso anno, ha scelto di ritrovarsi nel bipolarismo dell’alternanza tra due grandi aree culturali e ideologiche. Il leader di Italia Viva finge di non comprenderlo, mentre si ostina a negare la realtà. Fallito il progetto corsaro di giocare di sponda con i due blocchi contrapposti, adesso ci prova in Europa. Ieri l’altro ha annunciato di voler correre alle elezioni europee del 2024 sotto il simbolo di un mitico “Centro”. Ci provi pure, ma non si faccia illusioni. Come in Italia, anche in Europa farà un buco nell’acqua. Poi, tutto può essere interpretato secondo la propria convenienza. Soprattutto un risultato elettorale. Si possono ottenere pochi voti ma sufficienti a scavallare la soglia di sbarramento fissata al 4 per cento (legge 20 febbraio 2009, n. 10) per la ripartizione dei seggi del Parlamento europeo in quota nazionale. Il che gli offrirebbe la possibilità di presentarsi davanti alle telecamere, il giorno degli scrutini delle Europee, e affermare: ho vinto!
Ci perdonerà l’esuberante senatore di Rignano sull’Arno, ma questa è propriamente la vecchia politica di cui la gente ha piene le tasche. Pensare di ritagliarsi un ruolo di comando in Europa per il solo fatto di aver portato a Strasburgo un paio di europarlamentari che andrebbero a collocarsi nel gruppo largamente minoritario di Renew Europe, signoreggiato da un declinante Emmanuel Macron, è quanto meno velleitario. Un tempo una tale strategia sarebbe stata stigmatizzata con l’espressione: avventurismo politico. Per come si stanno mettendo le cose nel mondo, tra qualche mese ai popoli del Vecchio Continente spetterà una decisione di portata epocale.
Si è a un tornante della Storia che impone scelte nette. Gli europei dovranno decidere se abbracciare l’idea progressista, con tutto ciò che essa comporta nella trasformazione della cultura e del costume nel continente, o ritornare su posizioni conservatrici che mirino a ripristinare il patrimonio di valori tradizionali sul quale è stata edificata l’Unione europea. Dall’approccio alle problematiche ambientali a quelle sull’identità di genere, alla salvaguardia delle arti e dei mestieri tradizionali, agli usi locali, all’alimentazione, alle modalità e allo sfruttamento delle fonti energetiche funzionali alle produzioni manufatturiere, alla tutela e conservazione delle storie e delle tradizioni nazionali. Per non parlare della politica estera e di difesa comune e dell’esatto peso che in futuro si vorrà dare agli interessi economici e strategici di ciascuno Stato membro della comunità europea.
In questa chiave prospettica, dove si posizionerebbe il gruppuscolo guidato da Matteo Renzi? Non parliamo di massimi sistemi, ma di scelte concrete. Sulla transizione ecologica, ad esempio, Renzi con chi sta? Con coloro che vogliono mantenere – a proposito di decarbonizzazione e di riduzione dell’inquinamento prodotto dal patrimonio edilizio di ciascuna nazione – l’insostenibile cronoprogramma per la transizione “green” fissato dall’odierna Commissione, che penalizza principalmente i proprietari d’immobili in Italia o con coloro che puntano a modificarlo profondamente, a cominciare dai tempi di realizzazione e di conseguimento dell’obiettivo emissione zero? Che nello schema della contrapposizione parlamentare significa stare con la sinistra dei progressisti o con la destra dei conservatori. Tertium non datur. Stando così le cose, quali elementi nuovi autorizzano il leader di Italia Viva a ritenere che vi possa essere una terza via, distinta dalle prime due?
Sarà pure un nostro limite, ma non vediamo lo spazio di agibilità politica per uno smarcamento rispetto alla bipolarizzazione del confronto politico anche in Europa. Se tale spazio esiste, Renzi ce lo mostri e semmai ne ridiscuteremo. Se poi il gran fragore sollevato si riducesse alla speranza, peraltro non negata dallo stesso interessato, di rubacchiare qualche voto al Partito Democratico e a Forza Italia, ce lo consentirà il senatore Renzi, si tratterebbe davvero di robetta. E per di più puteolente. I due partiti hanno un tratto in comune: in passato, gli orientamenti dei rispettivi elettorati non hanno corrisposto alle aspirazioni delle classi dirigenti partitiche di riposizionamento strategico al centro. Di recente, nella corsa per la segreteria politica del Pd, la scelta degli iscritti al partito in favore del “governista” e moderato Stefano Bonaccini è stata ribaltata dal voto nei gazebo a favore della “movimentista” e sinistrorsa Elly Schlein. Forza Italia ha conosciuto la sua più sanguinosa emorragia elettorale dopo che Silvio Berlusconi si fece convincere dai suoi a tentare la strada dell’intesa con il Pd di Renzi stringendo il tristemente noto “Patto del Nazareno” (elezioni per la Camera dei deputati 2013: Popolo della libertà 21,56 per cento – 2018: Forza Italia 14 per cento). Dopo anni di dolorose scremature, ciò che resta dei due elettorati ha le idee chiare sulle proprie collocazioni: come chi sta nel Pd non pensa affatto di seguire al centro i renziani, altrettanto i sopravvissuti elettori di Forza Italia, pur di non ripercorrere i passi compiuti in passato da personaggi del calibro di Angelino Alfano si riverserebbero in massa nel partito di Giorgia Meloni. Il sodalizio, con mancate aspirazioni per un centro svincolato dai grandi blocchi, tra Giovanni Toti, governatore della Liguria, e Luigi Brugnaro, sindaco di Venezia, docet. Si dirà: la stabilizzazione della politica intorno a una forza che ne sia l’asse portante appartiene alla storia istituzionale italiana. Rispondiamo all’obiezione: una forza attrattiva, a vocazione moderata, che faccia da perno alle dinamiche interne alla coalizione di appartenenza è possibile, ma non è detto che debba essere necessariamente una forza centrista. Il partito di Berlusconi ha dato vita e guidato per decenni la coalizione di centrodestra. Eppure, Forza Italia, nella prassi quotidiana, non è mai stata una realtà totalmente e costantemente ancorata al centro della scena politica. Al contrario, su questioni vitali per lo sviluppo di una società democratica, come la riforma della Giustizia in senso garantista e la battaglia per la riduzione delle tasse, ha assunto posizioni più radicali che moderate. Ugualmente, accade oggi che il maggior partito della coalizione di centrodestra, Fratelli d’Italia, tenda a occupare spazi tradizionalmente appartenuti ai moderati. E lo fa al punto che un democristiano di lungo corso qual è l’onorevole Gianfranco Rotondi si spinge a dire, dalle colonne de Il Foglio, che: “Il blocco sociale che si sentiva rappresentato dal fascismo, poi dalla Dc e poi ancora da Berlusconi, ha trovato in Meloni la sua nuova referente. Ha mantenuto il carisma del Cavaliere, ma è ritornata alla collegialità dello scudo crociato”.
Non che la cosa ci faccia fare salti di gioia, tuttavia Rotondi disvela una verità che è nei numeri prima ancora che nelle volontà della sua indiscussa protagonista. Quando si è il partito del 30 per cento, cioè di un elettore su tre, è inevitabile che la propria azione politica debba flettere verso un “ecumenismo dialogante” non richiesto alle formazioni rappresentative di segmenti elettorali più ridotti ma maggiormente caratterizzati dal punto di vista identitario.
Se, dunque, una corazzata del consenso – qual è oggi Fratelli d’Italia – corregge la rotta in direzione degli orientamenti centristi e moderati dell’elettorato, quale spazio spera di ricavarsi il “peschereccio” Matteo Renzi? Molto più apprezzabile è la posizione dell’ex partner renziano, Carlo Calenda, che non ha mai nascosto il suo sentire progressista e la sua ambizione di crescere nel consenso all’interno del mondo della sinistra. Se proprio insiste, ci provi pure Renzi a perseguire un altro dei suoi progetti campati in aria. Siamo in un mondo libero, che non nega a nessuno il piacere – metaforicamente parlando – di andare a schiantarsi contro un muro. Come non nega a nessuno il diritto di farsi dono di un sogno -parafrasando William Shakespeare – di una notte di fine estate.
Aggiornato il 07 settembre 2023 alle ore 09:40