Dopo la difesa a oltranza di alcuni nostri prodotti tipici, come il parmigiano reggiano, il prosciutto di Parma, la pizza e il mandolino, nel corso della Mostra del Cinema di Venezia è letteralmente esploso il sovranismo attoriale, se così lo vogliamo definire. Pierfrancesco Favino è senz’altro il leader carismatico di questa sorta di rigurgito di altri tempi, quando per capirci i nomi dei personaggi delle pellicole di Oltreoceano venivano italianizzati, costume durato ben oltre la fine del cosiddetto Ventennio.

Raccogliendo molti autorevoli consensi nell’ambiente dell’ottava arte, il popolare attore romano si è così espresso durante la più importante rassegna cinematografica del Belpaese: “Il pubblico italiano tornerà ad avere fiducia nel cinema italiano quando vedrà gli attori italiani entrare nelle produzioni internazionali. È la piccola battaglia che io sto facendo, per la quale dico che i ruoli italiani devono essere interpretati da attori italiani”.

Ora, non si comprende se Favino intenda muoversi sul piano prettamente culturale, esortando la nostra industria cinematografica a puntare spontaneamente sui nostri attori – la cui qualità complessiva, rispetto ai mostri sacri di alcuni decenni addietro, è a dir poco imbarazzante – oppure miri a una classica operazione politico-burocratica di natura protezionistica, ottenendo una qualche leggina compiacente, onde scritturare rigorosamente interpreti nostrani per le parti di personaggi italiani.

Comunque sia, persino un regista celebrato come Pupi Avati ha preso posizione in favore di questa battaglia. “La polemica di Favino io la condivido – ha dichiarato il cineasta bolognese in una intervista all’AdnKronos – visto che capita spesso che gli americani facciano film sugli italiani, ha perfettamente un suo senso che siano interpretati da italiani. Ferrari, un modenese, che viene dal Nebraska, fa un po’ ridere”, ha commentato abbastanza piccato il regista.

“Quando ho girato il film su Dante Alighieri, noi siamo stati tentati, sedotti dall’idea di farlo interpretare ad Al Pacino – ha rivelato il maestro Avati – ma per quanto lui sia un italo-americano, poi ci siamo ricreduti. E grazie a Dio abbiamo scelto Sergio Castellitto e Alessandro Sperduti, quindi attori italiani. Il film ha avuto un grande successo e questo conferma che con attori italiani il film ha una credibilità assoluta maggiore”.

Assai più interlocutorio invece il commento di Gabriele Salvatores, vincitore nel 1991 di un premio Oscar con Mediterraneo: “Il tema posto da Pierfrancesco Favino, che è un mio caro amico, è una questione molto complessa, su cui bisognerebbe riflettere in maniera più approfondita e comunque il fatto che oggi ne stiamo discutendo dimostra l’importanza del tema”.

Già, si tratta evidentemente di un tema molto complesso, soprattutto nel piccolo mondo antico del nostro cinema, in cui innumerevoli personaggi, tra cui molte macchiette e altrettanti ottimi caratteristi vengono considerati alla stregua di mostri sacri. Tutto ciò senza nemmeno sfiorare il tema assai spinoso dei figli di papà, dei raccomandati e dei politicamente sponsorizzati.

Da questo punto di vista, da semplice spettatore appassionato, più che spezzare le reni agli attori stranieri, io mi preoccuperei di recuperare almeno in parte quella impagabile scuola di interpreti che ha fatto grande il teatro e il cinema italiano nel Dopoguerra e di cui oggi non si vede neppure l’ombra. D’altro canto, forse una volta si studiava di più e si esternava assai di meno.

Aggiornato il 04 settembre 2023 alle ore 10:32