Non c’è bisogno di grandi teorie politologiche per renderci conto che l’attuale situazione sociale ed economica italiana, pur dando atto al Governo di una apprezzabile buona volontà, non presenta prospettive incoraggianti. D’altra parte, siamo sinceri: l’espressione ciceroniana mala tempora currunt è sulla bocca di tutti, in Italia in particolare, quanto meno dalla fine della Seconda guerra mondiale. Assieme a questa espressione latina, la parola “crisi” domina la scena da decenni, come se, prima della “crisi”, si vivesse in un Paradiso terrestre, le cose andassero benissimo, tutti fossero felici e contenti e nessun grave problema ci minacciasse.
In realtà, nessuno saprebbe indicare, con consenso unanime, quale mai fosse una simile epoca storica. Il guaio, tuttavia, è che, auspicando il “ritorno” a una felice normalità peraltro mai esistita, si finisce per invocare dallo Stato, attraverso il Governo, una politica fatta di provvidenze e interventi pubblici riferendosi ai quali non pochi cittadini, per non dire dei politici e commentatori di sinistra, usano e abusano dell’aggettivo “sociale” come se tutto, nella nostra vita, fosse contrassegnato e persino determinato dalla variabile sociologica. Per un liberale tutto questo è inaccettabile: la rilevanza dell’individuo, della sua libertà e della sua responsabilità, vengono prima, e anche dopo, ogni altra variabile purché questi due primati siano solidamente radicati nella coscienza.
Questa lunga premessa ha il solo scopo di sottolineare, nella congerie di notizie che i nostri solerti organi di comunicazione di massa ci propinano ogni giorno, due piccoli eventi, appunto, individuali i quali, secondo chi scrive, hanno peraltro un valore umanistico assai grande. Si tratta, senza scendere nei particolari, di due episodi. Il primo riferisce di una commessa, o proprietaria, di una panetteria la quale si accorge che un cliente, straniero, dimentica nel suo negozio una borsetta contenente ben quindicimila euro e lo rincorre per restituirgliela. Il secondo riguarda il giovane uomo che, accorgendosi di una bimba che sta cadendo dal quinto piano, invece di porsi in salvo per l’ovvio pericolo dato dalla quantità di moto del corpicino in discesa libera, si getta proprio verso di esso e salva la vita della piccola a rischio della propria. Due individui o, per dirla alla cattolica, due persone dall’animo nobile che, in situazioni chiare e limpide nelle quali avrebbero potuto pensare solo ed esclusivamente al proprio tornaconto, decidono, in tempi brevissimi, di prodigarsi secondo coscienza.
C’è solo da chiederci quanti di noi avrebbero aderito allo stesso comportamento, una eventualità che, se fosse diffusa come meriterebbe, non renderebbe gli eventi di questo genere degni di una notizia al telegiornale. La speranza è che, in molta gente comune educata ai valori che contano, a partire dalla coscienza personale, vi sia molta più morale individuale e coraggio nell’affrontare il rischio implicito nelle proprie iniziative, di quanto la continua e soffocante denuncia delle esigenze “sociali” alle quali le istituzioni dovrebbero “dare risposta” pubblica lasci pensare. Allo Stato possiamo chiedere che sia onesto e coraggioso solo se siamo capaci di esserlo, prima di tutto, noi stessi.
Aggiornato il 30 agosto 2023 alle ore 11:46