Il “Parco Verde” di Caivano, luogo dello stupro delle due ragazzine non ancora tredicenni per mano di una banda di coetanei – dalle indagini è emerso che solo uno degli stupratori fosse maggiorenne – non è l’Italia che conosciamo e amiamo. È doloroso ammetterlo, ma è così. Parco Verde non è Italia perché lì lo Stato non c’è. Non ci sono posti di polizia, né uffici dei vigili urbani; non ci sono i servizi sociali e non c’è la fermata degli autobus; non ci sono infrastrutture sportive praticabili. Non c’è nulla che aiuti a stare in un luogo invivibile. Parco Verde è un bubbone sociale che vive una condizione aliena rispetto alla normalità che la cittadina di Caivano, comune a nord di Napoli di 36.048 anime censite nel 2021 al netto degli invisibili, fatica a darsi. Urbanisticamente è uno sconcio. Un ammasso di casermoni, sorti dopo il terremoto dell’Ottanta per dare temporanea ospitalità a una quota dei 300mila sfollati napoletani dalle proprie abitazioni a causa del sisma, è divenuto nel tempo un polo permanente di edilizia ultrapopolare degradata. Lì, la malavita organizzata ha avuto gioco facile a costruire una piazza di spaccio di proporzioni tali da fare concorrenza a quelle più note di Scampia e di Secondigliano.
Il controllo totale della vita del quartiere da parte della criminalità ha consentito che si diffondesse una “cultura” della violenza perpetrata a tutti i livelli della vita comunitaria, incompatibile con le regole e il sentire della nazione che è rimasta a guardare, pressoché inerme, il distacco di quella pur circoscritta porzione di territorio dall’ordinario svolgersi della convivenza civile. A guardia di un bidone di benzina ormai vuoto sono rimasti in pochi.
Don Maurizio Patriciello, parroco della Parrocchia di San Paolo Apostolo di Caivano, il dirigente scolastico e gli insegnanti dell’unico Istituto comprensivo (Ic 3) presente sul territorio del Parco Verde, sebbene articolato in tre plessi (Scuola primaria “Ada Negri”, Scuola primaria “Bruno Ciari”, Scuola dell’infanzia “Il cantico delle creature”, Scuola dell’infanzia “Collodi”, Scuola secondaria di primo grado “Parco Verde”) a cui si aggiungono la dirigenza e il corpo docente dell’Istituto superiore “Francesco Morano”, fanno quello che possono per mostrare ai minori che frequentano la scuola l’esistenza in vita dello Stato. Già, quelli che la scuola la frequentano, che non sono molti vista l’alta percentuale di dispersione scolastica registrata nella zona (3 minorenni su 10 non sono noti all’anagrafe scolastica). Per i ragazzi e le ragazze di Parco Verde andare a scuola è un’impresa, se è vero che la combattiva preside del “Morano”, Eugenia Carfora, si rivolge agli studenti delle quinte classi, giunti al termine del percorso scolastico, chiamandoli “valorosi combattenti”. Vi sembra normale una cosa del genere? Per il solo frequentare la scuola facendo ciò che per la stragrande maggioranza della popolazione studentesca italiana è un gradito dovere, definire dei giovani “valorosi combattenti” alla stregua di altri ragazzi che hanno onorato il Tricolore sui campi di battaglia dell’Afghanistan, dell’Iraq, della Somalia e di altri Paesi del Terzo e del Quarto mondo, è disarmante.
Per tentare di reprimere le attività criminali al Parco Verde lo Stato deve intervenire “dall’esterno”, impiegando uomini e mezzi che non sono presenti stabilmente sul territorio. Nel 2020, un’operazione di ordine pubblico ad alto impatto vide impegnato un contingente interforze formato dagli agenti del commissariato della vicina cittadina di Afragola, dai militari della Tenenza dei carabinieri di Caivano e della Compagnia dei carabinieri di Casoria, con il supporto degli equipaggi del Reparto Prevenzione Crimine Campania, del personale del IV Reparto Mobile di Napoli, del X Reggimento dei carabinieri, dei Vigili del fuoco e della Polizia municipale di Caivano. Ecco cosa vuol dire entrare nel mondo alieno di Parco Verde.
Oggi si grida allo scandalo per ciò che è accaduto alle due ragazzine. È giusto. Ma se vi dicessimo che lì violenze del genere sono la normalità, ci credereste? Chi si ricorda di Antonio Giglio, Fortuna Loffredo, Maria Paola Gaglione? Erano tre adolescenti. Bambini i prime due, Paola Maria appena maggiorenne. Antonio, precipitato il 28 aprile 2013 dalla finestra di un palazzo nel Parco Verde in circostanze misteriose, a oggi la sua morte non ha un colpevole. Lo stesso complesso immobiliare in cui ha trovato la morte, il 24 giugno 2014, la piccola Fortuna, detta Chicca, violentata e lanciata nel vuoto dai due “orchi” condannati in via definitiva: Marianna Fabozzi, la mamma del piccolo Antonio e il suo ex compagno, Raimondo Caputo. Maria Paola, invece, è morta la notte tra l’11 e il 12 settembre 2020, cadendo dallo scooter guidato dal suo compagno transgender. I due tentavano di sottrarsi disperatamente alla furia omicida del fratello di lei che voleva mettere fine con la forza alla relazione sentimentale della sorella con Ciro, giudicato dall’aggressore un aborto di natura. Entrambi, assassino e vittima, vivevano al Parco Verde. Storie di incesti, di pedofilia, di violenze fisiche e di pseudo onore tribale che s’intrecciano al degrado e allo squallore ai quali sono condannati i luoghi dai quali la civiltà ha disertato.
Giorgia Meloni ha accettato l’invito rivoltole da don Patriciello e si recherà a verificare di persona le condizioni di vita del popolo di Parco Verde. Un segnale importante, ma non sufficiente. Il premier ha promesso il pugno di ferro per reprimere la presenza criminale nell’area. Temiamo che anche questo non basterà. Non servono più poliziotti e più carabinieri per riportare lo Stato in quella landa divenuta zona franca della malavita organizzata. Quando il cancro si è diffuso al punto da divorare la parte sana del corpo non resta altro da fare che intervenire chirurgicamente. Se si vuole liberare Caivano dalla massa tumorale costituita dalla realtà non integrata e non integrabile di Parco Verde, si deve operare drasticamente applicando la soluzione adottata per “le Vele di Scampia”. Bisogna buttare giù tutto. Radere al suolo i casermoni e trasferire la popolazione residente altrove, offrendo ai cittadini onesti che vivono al Parco Verde, ma che sono ostaggio del degrado e della delinquenza, l’opportunità di ricominciare altrove una nuova vita. Non è la farneticazione di un pericoloso razzista ma l’idea lanciata da Enzo Falco, già sindaco di Caivano, sostenuto da Partito Democratico e Movimento 5 Stelle ed eletto al primo turno alle Comunali del 2020. E non solo.
“Aiutateci ad andare via dal Parco Verde e a cambiare città per dare un futuro ai nostri figli, per strapparli dalle grinfie della pedofilia, della prostituzione e della criminalità”, lo dicono gli abitanti del quartiere che vogliono liberarsi del marchio d’infamia che la cronaca di questi anni gli ha cucito addosso per il solo fatto di risiedere in quel posto maledetto. Condivisibile la proposta dell’avvocato dei famigliari delle due minorenni vittime di stupro, Angelo Pisani: “Si potrebbe adottare la stessa norma che tutela i pentiti di mafia, ai quali viene data l’opportunità di farsi una nuova vita con un nuovo nome, un nuovo lavoro e una nuova casa; lo Stato che aiuta i pentiti di camorra dovrebbe a maggior ragione aiutare i bambini, che in queste periferie degradate rischiano addirittura la vita, com’è accaduto proprio a Fortuna”.
Questa è la voce di chi sa, di chi tocca con mano la realtà di quei luoghi. Proposte bizzarre, come la castrazione chimica dei colpevoli di stupro a danno di minori, non funzionano in aree come il Parco Verde perché mirano a colpire il singolo stupratore ma non colgono l’aspetto “sociale” del fenomeno diffuso. La dirigente scolastica del “Morano” ha espresso un desiderio che è soprattutto una speranza: “Che tra qualche anno non si parli più del Parco Verde, che la gente meravigliosa che vive qui si tolga di dosso questa sorta di macchia”. Ci associamo sinceramente all’auspicio.
Anche noi speriamo che al più presto non si parli più di Parco Verde. Nel senso che scompaia dalla carta geografica della Provincia di Napoli. Che Caivano, antico insediamento sannita risalente al IV secolo avanti Cristo, ritrovi la sua dignità e la comunità caivanese il suo onore. E che quell’area venga restituita al verde e all’agricoltura, com’è stato dalla notte dei tempi.
Aggiornato il 30 agosto 2023 alle ore 11:28