Nel 1947 Albert Camus scrive una breve pièce teatrale dal titolo “La commedia dei filosofi”. Il protagonista che, non a caso, si chiama Signor Nulla, presentandosi come un importante filosofo parigino, riesce a convincere il Sindaco di un paesino di provincia a credere che niente ha senso, che non esiste alcuna verità, che può esserci benissimo “fumo senza fuoco” e che la formula necessaria per vivere si compendia in questa frase: “Essere nel farsi… e essere per chiunque senza essere ciò che si sia”.
Non si tratta di un gioco di parole. “Essere nel farsi” vuol dire, infatti, che nessuno ha più una natura, dal momento che il proprio essere si risolve tutto nei fatti storici che ne segnano la vicenda; “essere per chiunque senza essere ciò che si sia” significa che di ciascuno dobbiamo avere una semplice percezione soggettiva, che deve restare però del tutto indifferente e impermeabile all’essere che ciascuno di noi comunque è. Insomma, una forma di perdita di identità, di nichilismo tendenzialmente assoluto già preconizzato nell’immediato Dopoguerra dalla sensibilità dello scrittore.
Questo apologo torna in mente assistendo alle feroci polemiche suscitate dal libro del generale Roberto Vannacci dal titolo “Il mondo al contrario” e sul merito del quale evito di discutere, anche allo scopo di sottrarmi al reclutamento delle rispettive tifoserie. Qui non è una questione di tifare pro o contro le affermazioni del generale, neppure rivendicando – come molti continuano a fare – il diritto di manifestazione del pensiero oppure i suoi limiti derivanti dal rango militare. Qui la vera questione sul tappeto è il nostro destino di esseri umani sulla terra. Ciò che infatti quelle polemiche presuppongono è un’avversione inestinguibile e intrinsecamente ideologica contro la normalità che, prima ancora di essere osteggiata nella prassi, viene negata nel suo stesso principio.
Questo, del resto, è il crinale ideale sul quale si misurano le opinioni espresse da Vannacci: egli rivendica il primato di una normalità intrinseca alle cose del mondo e che a nessuno è lecito disconoscere; i suoi veementi oppositori la negano radicalmente. Si badi: normalità vuol dire implicitamente razionalità, responsabilità, libertà, eticità, giustizia. In una parola: verità.
La cosa paradossale è che tutti coloro che negano la normalità – per esempio, affermando che non esiste la verità della famiglia tradizionale, essendoci invece tante tipologie di famiglia – la invocano (ma senza avvedersene) quando allestiscono cortei contro la mafia, per difendere la legalità. Infatti, cosa sarà mai la legalità se non, appunto, la irrinunciabile verità dei rapporti umani nell’ottica del diritto? La legalità appare, dunque, quale la normalità di ogni pensabile assetto sociale umanamente vero. Sarebbe possibile espungere la legalità senza mettere a repentaglio il vivere civile? I primi ad opporsi – e ben a ragione! – sarebbero gli odierni oppositori della normalità, i quali dovrebbero dunque mettersi d’accordo con se stessi.
Allo stesso modo, se chi legge queste righe può comprenderle è perché i concetti espressi hanno un senso veicolato dal paradigma grammaticale, il quale rappresenta appunto la normalità della comunicazione linguistica: se tale normalità venisse meno, sprofonderemmo tutti in una Babele senza uscita. Il fatto, probabilmente, è che la normalità – la verità – non è un concetto e neppure un credo ideologico, ma la condizione stessa della nostra esistenza che tutti ci sostiene e che ci permette di vivere insieme, come il mare sostiene le imbarcazioni.
Possiamo anche – al pari della colomba del celebre esempio di Immanuel Kant – voler sbarazzarci dell’aria che rallenta il volo, ma se non ci fosse l’aria a far resistenza la colomba non potrebbe volare. Similmente, la famiglia naturale, nata da un uomo e da una donna, rappresenta la condizione di esistenza della società: se tutte le famiglie fossero non naturali – cioè fra due uomini o fra due donne – la società sparirebbe. Solo la famiglia naturale – con tutto il rispetto per le altre – è perciò normale, perché vera: averlo ribadito è la terribile colpa di Vannacci.
La verità è semplice, semplicissima, alla portata di tutti coloro che non siano fuorviati da perniciose forme di intellettualismo capaci di far sorgere vere cortine fumogene, che ne oscurano i tratti: infatti, la moglie del Sindaco, per nulla istruita ma dotata di sano buon senso, capisce subito che il marito si trova di fronte a un mattoide. Tuttavia, il nostro tempo pare sordo alla voce della verità, come il Signor Nulla di Camus, il quale, all’esito della pièce, viene ricondotto nel manicomio dal quale era fuggito.
Lo notava amaramente Gilbert Keith Chesterton: siamo nel tempo, infatti, dove “fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro. Spade verranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate”.
Aggiornato il 30 agosto 2023 alle ore 10:03