Questione migratoria: dramma senza fine

Su una cosa dobbiamo essere chiari: si può desiderare di combattere il fenomeno dell’immigrazione illegale ma non per questo si resta indifferenti ai naufragi di poveracci che provano ad attraversare il mare per giungere sulle nostre coste. La morte in mare di 41 immigrati è orribile. Non si può morire così. È barbaro, criminale, il comportamento dei trafficanti di esseri umani che mettono i disperati su barchini disinteressandosi totalmente del fatto che quei natanti non possono in alcun modo affrontare la navigazione dalle coste tunisine a quelle italiane. Soprattutto se le condizioni del mare sono proibitive.

Non si tratta di fare una romantica gita in barca, ma di una traversata di 98 miglia nautiche. Tale è la distanza che corre tra la costa tunisina della zona di Sfax e l’isola italiana di Lampedusa. Quasi cento miglia in pieno Mediterraneo. I quattro superstiti dell’ultimo naufragio sono andati alla deriva per sei giorni prima di essere avvistati e recuperati. Ci siete mai stati da quelle parti, lì nel canale di Sicilia? Quando soffia lo scirocco il mare si gonfia e fa paura. Come potrebbe un guscio di sei metri, fatto di una sfoglia di ferro arrugginito, solcare indenne quelle onde? Semplicemente, non può. I trafficanti di morte lo sanno; gli “eroicivolontari delle navi delle Ong lo sanno; i telegenici prelati progressisti, che con le loro disinvolte omelie sull’obbligatorietà dell’accoglienza incentivano i poveri d’Africa a mettersi in cammino verso l’Italia, lo sanno; i pirati tunisini, che depredano gli sventurati migranti dei pochi averi ancora posseduti, lo sanno; i governanti tunisini lo sanno; le Guardie costiere di Tripoli e Tunisi lo sanno; anche a Roma lo sanno che quei disgraziati illusi dal miraggio di una vita migliore in Europa, quella vita non la conosceranno mai.

Così non va. Occorre fare qualcosa di concreto e immediato per fermare l’infame mattanza. Bisogna dare atto al Governo Meloni che ha provato a dare una risposta al fenomeno criminale con approccio e strategia soft cercando di andare alla fonte del problema, non limitandosi a sbarrare la porta di casa nostra. Evidentemente, le buone maniere non funzionano. Lo dicono i numeri. Secondo i dati del Cruscotto migranti del Ministero dell’Interno, dall’inizio dell’anno al 10 agosto sono sbarcati in Italia 94.792 migranti irregolari. Più del doppio delle persone arrivate lo scorso anno nello stesso arco temporale monitorato (45.178) e il triplo di quelle giunte nel 2021 (32.004). Di questo passo, entro la fine dell’anno avremo sulle spalle oltre 200mila immigrati illegali da gestire al netto dell’incognita Niger, dove lo scoppio della guerra civile farebbe deflagrare la bomba migranti che stazionano nel Paese in attesa di transitare in Libia e in Tunisia per imbarcarsi alla volta dell’Italia. Ai primi di agosto l’Organizzazione internazionale per le Migrazioni (Oim) ha reso noto di ospitare 4.867 migranti di 25 nazionalità diverse presso i suoi sette centri di accoglienza dislocati in Niger. A questo numero va aggiunto quello, non facilmente quantificabile, della massa di migranti presenti nel Paese ma non ospitati nelle strutture dell’Oim. Per non dire dei nigerini che, in caso di scoppio della guerra, potrebbero tentare di fuggire in massa dal proprio Paese per cercare asilo in Europa.

Giorgia Meloni ha puntato sul dialogo con i Governi degli Stati di partenza, a cominciare da Tunisia e Libia. In particolare, per la Tunisia il nostro premier si è speso moltissimo perché le istituzioni politiche e finanziarie internazionali aiutassero il Paese nordafricano a evitare la bancarotta nei conti pubblici. In cambio, il presidente tunisino Kaïs Saïed ha sottoscritto impegni stringenti con l’Unione europea che hanno riguardato anche il contrasto all’immigrazione illegale. Tuttavia, dalla fotografia che la cronaca quotidiana ci restituisce non sembra che tutto questo basti. Serve uno sforzo maggiore che non può essere quello di ricacciare i disperati nel deserto dal quale sono spuntati, aspettando che siano il caldo, la sete e la fame a risolvere il problema. Per fermare lo scempio del traffico di esseri umani, col suo corollario di morte e di dolore, non esiste altro mezzo efficace che trasferire sulla costa africana l’hotspot, di modo da offrire assistenza a tutti gli irregolari, selezionando gli aventi diritto alla protezione umanitaria prima che prendano il mare non dopo, quando a molti di loro la traversata in condizioni impossibili potrebbe costare la vita.

Sono anni che lo scriviamo: bisogna che la macchina degli aiuti europei metta piede in Tunisia o in Libia. I governanti di quei Paesi non possono pretendere di prendersi i nostri soldi e, allo stesso tempo, concedersi il lusso di impedire la nostra presenza fisica in loco. Se vogliono essere aiutati economicamente devono cedere qualcosa in termini di suolo (limitato) per la costruzione di uno o più centri di accoglienza sovvenzionati dalla Commissione europea, vigilati dagli operatori di un contingente militare dell’Unione europea e gestiti dalle organizzazioni umanitarie delle Nazioni Unite. Sarebbe creare niente di più che una “Lampedusa” in terra d’Africa. Tale soluzione assesterebbe un colpo mortale ai trafficanti di esseri umani che, con l’organizzazione delle traversate, stanno accumulando straordinarie ricchezze. Individuata l’alternativa alle partenze illegali, avrebbe senso attivare la misura – pubblicizzata in campagna elettorale – del blocco navale. Unità dei Paesi dell’Ue, inquadrate nell’ambito di una missione europea coordinata dall’Agenzia europea Frontex, avrebbero il compito di intercettare i natanti con gli immigrati irregolari, salvarli dal rischio naufragio, assisterli se bisognosi di cure mediche e sbarcarli nei porti africani collegati agli hotspot che diverrebbero i Place of safety (Pos), i posti sicuri richiesti dalle normative internazionali in materia di ricerca e soccorso (search and rescue) in mare dei naufraghi.

Vi sarebbe spazio anche per le navi delle Ong, oggi impegnate in operazioni di raccolta e traghettamento di esseri umani dal Mediterraneo verso l’Italia. C’è da dare di matto: come si fa a non vedere la soluzione più logica, che è a portata di mano, e invece preferire di aggrovigliarsi nell’escogitare soluzioni cervellotiche che non portano da nessuna parte? Deve esserci qualcosa che ci sfugge. Non è che si voglia credere alle teorie complottiste, ma il sospetto che le centrali del potere economico-finanziario occidentale favoriscano il trasferimento di masse di migranti dalle regioni povere dell’Africa e dell’Asia in Europa, allo scopo di fare crollare il costo della manodopera per gli apparati produttivi continentali, è concreto. Che siano i migranti l’esercito industriale di riserva del nostro tempo storico?

Finché si è potuto, si è sopportato il disagio provocato dall’arrivo di masse d’irregolari. Adesso ciò non è più possibile. Il Governo Meloni ha dimostrato di non avere paura di affrontare scelte scomode. Lo si è visto con la questione della tassazione degli extraprofitti delle banche. Faccia altrettanto con il dossier immigrazione. Assuma in sede europea un’iniziativa forte per bloccare gli aiuti finanziari a quei Paesi della fascia mediterranea dell’Africa che non collaborano nella ricerca della soluzione definitiva al problema migratorio. Visto che con il guanto di velluto non si è combinato granché, meglio passare al pugno di ferro. Ne va della sicurezza degli italiani e della salute dei poveri disperati che ci provano a fare il viaggio della vita, rimettendoci la pelle. Spesso e volentieri.

Aggiornato il 28 agosto 2023 alle ore 10:25