Giorgia Meloni: la fanciulla del West

Giorgia Meloni, la underdog della politica, ha spiazzato tutti. La visita alla Casa Bianca non era – né avrebbe potuto esserlo – un normale incontro di routine tra un capo di Stato e un capo di Governo.

A Washington avevano i fucili puntati contro quell’italiana descritta dalla stampa statunitense – malata di eccesso di appiattimento sui pregiudizi ideologici della stampa progressista nostrana – come un mostro mitologico, con la testa di un Donald Trump, ma senza ciuffo, e il corpo di un Jair Bolsonaro in tailleur. Si può immaginare lo stupore dei vertici dell’Amministrazione americana quando si sono trovati al cospetto di una leader, sì conservatrice e attenta a privilegiare gli interessi nazionali, ma ragionevole e dialogante. La scoperta delle qualità individuali della persona ha trasformato la visita in un successo clamoroso della Meloni e nell’occasione per Joe Biden di stringere con l’alleato italiano un’intesa tale da non lasciare spazio a future incomprensioni o a fughe in avanti dello junior partner (l’Italia) rispetto ai progetti geo-strategici ed economici che stanno a cuore al senior partner (gli Usa). Potrebbe sembrare un’ovvietà se si pensa alla storica relationship che lega l’Italia agli Stati Uniti, ma non lo è.

In effetti, Giorgia Meloni ha completato la manovra di spostamento dell’asse della politica estera italiana a Ovest, iniziata dal suo predecessore, Mario Draghi. Sia nella Prima, sia nella Seconda Repubblica, sul fronte delle relazioni internazionali l’Italia, per volontà dei Governi che si sono succeduti, ha tenuto costantemente una posizione eterodossa rispetto alla stretta osservanza imposta dal Patto atlantico, al punto che alcuni storici hanno definito la politica estera italiana “un diverso atlantismo”.

Il nostro Paese, pur rinsaldando il rapporto organico con la Nato, ha intessuto fasi di dialogo prima con l’Unione sovietica e con i suoi Stati satelliti; successivamente – quando l’impero comunista è crollato – con la Federazione Russa. Ma anche con entità sovranazionali e Stati che hanno fatto della lotta all’Occidente capitalistico la loro missione. Ciò è stato vero fino allo scoppio della guerra russo-ucraina. In quel momento Draghi ha deciso di rompere lo schema tradizionale e di riposizionare il Paese accanto – qualcuno direbbe malevolmente, in scia – al principale alleato, di fatto rompendo con l’interlocutore russo in modo irreversibile. Su questa linea, che non era totalmente condivisa da Forza Italia in versione berlusconiana, dalla Lega di Matteo Salvini e da alcuni pezzi significativi della sinistra, si è inserita Giorgia Meloni, riscuotendo la gratitudine dall’ex premier. Quando è toccato a lei insediarsi a Palazzo Chigi, la musica non è cambiata. Semmai, la retorica anti-putiniana è salita di un’ottava. La Casa Bianca è rimasta alla finestra per tutto il tempo aspettando di toccare con mano la reale affidabilità dell’oggetto misterioso Meloni. Il punto di svolta è stato il sostegno incondizionato di Roma alla causa ucraina. La fermezza del premier italiano nel tenere in riga i suoi dubbiosi alleati contro Mosca ha provocato la reazione entusiastica di Joe Biden.

Ora, comunque finisca l’avventura di questo centrodestra al governo della nazione, Giorgia Meloni si è assicurata uno spazio nei libri di storia. Lo slittamento a Ovest, in danno dei rapporti finora intrattenuti a Est, riposiziona in via permanente l’Italia sullo scacchiere globale. Giorgia Meloni ne trae un beneficio personale in vista del cambio di scenario in sede europea, al quale la leader di Fratelli d’Italia sta lavorando da almeno quattro anni. Dall’osservazione dei comportamenti del capo del Governo italiano in politica estera, un elemento oggi emerge alla luce del sole: la Meloni non intende limitarsi al ruolo che attualmente ricopre in Italia. La sua ambizione valica i confini nazionali e approda a Bruxelles. Pensiamo che anche Biden se ne sia accorto perché davanti a lui, nella stanza ovale, ha preso posto una donna dalla postura politico-istituzionale double face: il capo del Governo italiano e, insieme, la leader dei Conservatori europei. Cioè, colei in grado, nel prossimo futuro, di tirare i fili della politica comunitaria del Vecchio Continente. Sospettiamo che il ruolo di leader in fieri della futura Unione europea abbia impressionato il presidente americano, ben oltre il dato di realtà di essere – Giorgia Meloni – alla testa di un grande Paese. La puntigliosa articolazione del comunicato finale congiunto, che riassume gli impegni reciproci assunti dai due leader nel corso dell’incontro alla Casa Bianca, lo dimostra. Biden ha chiesto e ottenuto dalla Meloni rassicurazioni sulla modifica dei rapporti attualmente in essere tra l’Italia e il gigante cinese, in particolare l’abbandono della sciagurata partecipazione italiana alla trappola cinese della Via della Seta, voluta da Giuseppe Conte al tempo del Governo grillino con la Lega. In cambio, Washington riconosce, mettendolo nero su bianco, un ruolo dell’Italia nel quadrante dell’Indo-Pacifico. È scritto nel comunicato: “Gli Stati Uniti e l’Italia sono fermamente impegnati per un Indo-Pacifico libero, aperto, prospero, inclusivo e sicuro. Gli Stati Uniti accolgono con favore l’accresciuta presenza italiana nella regione”.

Una novità assoluta per l’Italia nello scenario globale. Ma, ancora più rilevante è la decisione di Biden di seguire la Meloni sulla richiesta di un focus della Nato centrato sul fianco Sud dell’Alleanza. Se il dossier Africa diverrà una priorità per il blocco delle democrazie occidentali sarà stato merito di Giorgia Meloni. A maggior ragione alla luce dei più recenti accadimenti, con il golpe in Niger operato da forze militari inneggianti a Vladimir Putin e con l’inquilino dell’Eliseo che appare frastornato e incapace di prendere l’iniziativa per stabilizzare gli Stati africani appartenuti all’Impero coloniale francese e tenuti finora nella sfera d’influenza geopolitica di Parigi. L’idea che la Meloni possa essere, in particolare nei consessi internazionali, l’autorevole voce europea dei Paesi africani bisognosi di aiuto, stuzzica molto il presidente Biden. Quindi: via libera alle iniziative a sostegno della Tunisia; un placet al “Processo di Roma” per coinvolgere i Paesi di partenza dei migranti nella lotta al traffico di esseri umani; un pensatissimo “prendiamo atto del Piano Mattei” e dell’indicazione strategica di lungo respiro di stringere un partenariato a sfondo economico con i Paesi africani sul principio del “peer-to-peer” e non su quello della depredazione sistematica dei territori africani da parte dei Paesi occidentali.

Ma Biden concede altro ancora alla sua interlocutrice. In primo luogo, la promessa di aumentare lo scambio commerciale tra Italia e Usa che nel 2022 ha cubato 117 miliardi di dollari. In secondo luogo, il presidente Usa apre al rafforzamento delle partnership industriali tra aziende italiane e statunitensi nei settori strategici della Difesa, delle tecnologie emergenti e dell’Aerospazio. La Casa Bianca si è detta pronta a sostenere Palazzo Chigi, il prossimo anno, quando all’Italia toccherà la presidenza del G7 e, nel 2025, quando l’Italia ospiterà la conferenza internazionale per la ricostruzione dell’Ucraina. Washington, inoltre, appoggerà la candidatura italiana a Expo 2030.

Si può affermare che il viaggio in Usa di Giorgia Meloni sia stato un successo? Sì, lo è stato sebbene permangano delle riserve. Due in particolare. La prima, che l’Ucraina alla fine vinca la guerra con la Russia. Perché se ciò non accadesse e se al tavolo negoziale sedesse una leadership russa tonificata dai risultati ottenuti sul campo di battaglia, per l’Italia che ha scommesso sulla vittoria di Kiev si spalancherebbe il baratro della emarginazione sulla scena internazionale. La seconda. Che il prossimo anno non sia Donald Trump a vincere le elezioni presidenziali. Il leader del sovranismo statunitense ha annunciato che, in caso di vittoria elettorale, sarebbe pronto a chiudere la crisi con la Russia in pochissimo tempo. L’ex presidente Usa non ha mai fatto mistero di giudicare il rapporto con gli alleati europei più un peso che un’opportunità. Un suo ritorno alla Casa Bianca corrisponderebbe a un crollo del castello progettuale pensato dalla Meloni e assicurato, per la sua realizzazione, dal sostegno dell’attuale amministrazione americana. Due rischi reali per la riuscita della strategia messa in campo dalla leader italiana, che non trovano usbergo nelle non-scelte europee in materia di Difesa comune e di politica estera comune. Parigi e Berlino continuano a ballare da sole. Non saranno loro a salvare i piani geopolitici di Roma, avendoli avversati fin dal primo momento.

Come andrà, non è dato saperlo. Tuttavia, abbiamo imparato a riconoscere qualcosa che neanche sospettavamo esistesse: il gran fiuto di Giorgia. Finora, ci ha visto giusto. Che non abbia ragione lei? Ce lo possiamo solo augurare, visto il nostro testardo scetticismo sulla bontà della linea di politica estera intrapresa.

Aggiornato il 02 agosto 2023 alle ore 10:22