Reddito di cittadinanza: la fine del mondo

E giunse il giorno della decapitazione del Reddito di cittadinanza. Una decisione annunciata dal centrodestra fin dalla stesura del programma con cui i partiti della coalizione si sono presentati alle elezioni. Per le 169mila famiglie che hanno ricevuto il messaggio telematico dall’Inps, che annuncia la sospensione dell’erogazione del sussidio dal 1° agosto, non è stato un bel giorno. È comprensibile, perdere un beneficio non fa piacere a nessuno. Ma se una misura di sostegno sociale è controproducente, il Governo deve intervenire a correggerla. Perché il vero problema che l’assistenza di Stato ha scatenato nella maggioranza degli italiani è stato il dubbio – fondato – che il sostegno finisse nelle tasche sbagliate, cioè in quelle di chi, avendo altri introiti non dichiarati al Fisco, grazie al Reddito avrebbe conseguito un indebito arricchimento.

D’altro canto, che ci fosse qualcosa di irregolare nell’erogazione del beneficio lo testimonia il fatto che in molti – circa 200mila famiglie – hanno rinunciato a richiederlo nel momento in cui si è diffusa la notizia che, a legge vigente, vi sarebbero stati maggiori controlli da parte della Guardia di finanza e dei carabinieri. Tra le famiglie attualmente percettrici del Reddito non si è riscontrata una particolare preoccupazione, eccezion fatta per la piazza di Napoli dove è prontamente scoppiata la protesta dei colpiti dal taglio. La Campania, com’è noto, è la regione col maggior numero di destinatari della misura di sostegno. E in Campania sono piovute 37mila disdette via mail da parte dell’Istituto di previdenza. Nella sola provincia di Napoli, nel mese di aprile 2023 le famiglie percettrici del Reddito sono state 139.900 (fonte: Inps). Numeri da brividi, se si considera che nelle regioni del Nord sono complessivamente 180.550 le famiglie che percepiscono l’assegno.

La sinistra, in crisi di idee e di progetti, non ha perso l’occasione per tentare di cavalcare la protesta istigando alla rivolta sociale i destinatari del taglio. Un comportamento irresponsabile che, ancora una volta, dimostra la pericolosità dei progressisti per gli interessi nazionali. Tuttavia, difficilmente vedranno soddisfatto il loro insano desiderio di gettare il Paese nel caos. Napoli non verrà messa a ferro e fuoco dai nullatenenti come i “compagni” sperano, per la semplice ragione che niente è mai come appare, neanche l’apparente “fame” del popolo napoletano. Bisogna conoscere nel profondo la città per sapere quali corde possano muovere la protesta popolare e, soprattutto, chi possegga le chiavi per provocare un cambiamento, in negativo, del clima sociale. Di certo, non le ha Elly Schlein, la “fighetta” radical-chic che gioca con le miserie altrui senza avere la minima contezza delle dinamiche sociali ed economiche che sottendono a quelle povertà. Nell’area metropolitana di Napoli, il Reddito di cittadinanza ha rappresentato – non per tutti, ma per un buon numero di destinatari – solo una componente delle entrate mensili individuali. Per molti percettori, i principali introiti hanno riguardato le prestazioni lavorative in nero. Nel contempo, l’introduzione del Reddito di cittadinanza ha incrociato l’esigenza delle imprese del sommerso di abbassare i costi di produzione tagliando i salari pagati in nero per rimanere competitivi sul fiorente mercato informale, da anni invaso dai prodotti provenienti illegalmente dall’estero, in particolare dalla Cina.

Nella narrazione oleografica della città “pizza e mandolino”, uno dei principali luoghi comuni attiene alla presenza massiccia di lavoratori in nero nel comparto della ristorazione (bar, ristoranti). Rappresentazione errata. Nel napoletano il sommerso è organizzato secondo un’economia di rete che coinvolge principalmente i comparti del manifatturiero, dell’agricoltura e dell’edilizia. L’estesa frammentazione delle strutture produttive e delle unità locali, coniugata alla carenza di infrastrutture, ha favorito il consolidamento di un’economia informale e sommersa che si è sviluppata parallelamente a quella legale di superficie. Il fenomeno non si è limitato ai soli processi produttivi ma ha riguardato la distribuzione attraverso mercati non trasparenti, dove le merci e i servizi del “nero” hanno potuto circolare – e circolano – liberamente. Ciò ci consente di sfatare un’altra leggenda metropolitana su cui la cattiva informazione continua a battere: la mancanza di opportunità di lavoro per gli inoccupati. Nella Napoli stretta dalla morsa del sommerso il paradosso è che la vitalità imprenditoriale è presente ed è molto sviluppata. In particolare nei segmenti della produzione tradizionale dei comparti del tessile, del calzaturiero, delle borse e degli accessori in pelle. Ancora più paradossale è il fatto che tali produzioni nella fascia del sommerso traggano la loro forza di penetrazione dei mercati illegali dalla qualità della manodopera impiegata, specialmente nel ramo delle contraffazioni.

Ora, l’ignaro telespettatore del Nord che vede in televisione la disperazione di una povera donna la quale, piangendo, si chiede: “come sfamerò i miei figli?”, non può minimamente sospettare che nei panni della dolente postulante possa celarsi una sopraffina modellista, o una eccellente cucitrice di borse o un’orlatrice di calzature che ha fatto, lei sì, piangere i capi degli uffici commerciali dei grandi brand dell’alta moda, pressoché impotenti al cospetto di “falsi” che non hanno nulla da invidiare agli originali.

Lo scorso anno la Confartigianato ha avviato una campagna nazionale per denunciare il problema dell’abusivismo nelle produzioni artigiane. Lo studio svolto dall’associazione di categoria ha censito 1 milione di operatori abusivi – maggiormente concentrati al Sud e in Campania in particolare – che minacciano con l’arma della concorrenza sleale 709.959 aziende regolari. A imprenditori abusivi corrispondono lavoratori irregolari riguardo al trattamento economico, fiscale e previdenziale ma non sotto il profilo delle competenze e del possesso di una solida sapienza manuale. Per queste persone il Reddito è stato un regalo del Governo del quale, sebbene con dispiacere, possono fare a meno. Il problema, semmai, ricadrà sui datori di lavoro illegali che dovranno rispondere alla domanda di adeguamento salariale delle loro maestranze, a cui è venuto meno il sostegno integrativo fornito dallo Stato sottoforma di Reddito di cittadinanza.

Si illude la sinistra se pensa di istigare tali persone alla rivolta di piazza. Data la loro condizione di abusivi, non hanno interesse a smuovere troppo le acque con le autorità pubbliche. L’unica possibilità concreta di ottenere lo scatenarsi della rabbia sociale la sinistra l’ha se si rivolge al vero dominus che regge e tutela il sistema reticolare dell’economia sommersa: la criminalità organizzata. Non sarebbe una novità per Napoli. Nella sua storia vi sono stati ripetuti casi in cui pezzi degli apparati di potere usavano i “lazzaroni” per provocare sommosse che avrebbero portato al rimescolamento degli equilibri interni ai ceti dominanti.

Dopo aver usato per anni l’arma della giustizia a orologeria per battere il nemico politico, la sinistra è disposta a scendere a patti con la malavita pur di ostacolare il cammino del centrodestra? È caduta tanto in basso l’opposizione da dover ricorrere, per risalire la china del consenso, a tali ignobili stratagemmi, nocivi del benessere e della sicurezza della nazione? Tutto ciò è francamente sconcertante.

Il centrodestra tenga duro. Intervenga a sostenere quelle famiglie che realmente vivono un disagio assoluto. Le aiuti anche più di quanto non facesse il Reddito di cittadinanza. Riguardo agli altri, il problema lo si risolve – almeno nel napoletano – costringendo il sommerso a emergere. Lì il lavoro c’è, soltanto che va regolarizzato e indirizzato nel verso giusto, che è quello della legalità. Attenti, però. Non basta il pugno duro della repressione del fenomeno criminale. Bisogna avere la lucidità necessaria per non buttare via il bambino con l’acqua sporca. C’è una qualità della manodopera che va salvaguardata e, ove possibile, valorizzata. Come prima spiegato, una delle cause della crescita dell’economia informale risiede nell’eccessiva frammentazione del tessuto produttivo sommerso che inibisce, a monte, la possibilità di immettere prodotti anche di qualità sui mercati esteri. Iniziative dello Stato volte a incentivare, anche con misure finanziarie, gli accorpamenti delle microaziende in imprese di più ampie dimensioni a base cooperativa, di filiera o distrettuali, potrebbe spingere gli imprenditori illegali a emergere, e con essi a portare alla luce il lavoro nero. Se ciò accadesse, anche solo in minima parte, contribuirebbe a ridurre il peso del malessere sociale dei non abbienti del quale lo Stato, che lo voglia o no, deve farsi carico.

Non sarà la sconfitta della povertà annunciata da Luigi Di Maio, ma assesterà una vigorosa pedata alla farsa dei finti bisognosi. E sarà anche un bel calcio sugli stinchi a quei giornaloni che hanno le redazioni nel quadrilatero della moda a Milano, o nelle immediate vicinanze, così che la piantino una volta per tutte con la storia dei napoletani fannulloni e con l’idiozia dei pasti gratis elargiti dallo Stato a tutti gli abitatori stanziali dei divani di casa.

Aggiornato il 01 agosto 2023 alle ore 09:29