Alain Elkann e l’illiberalità nazionale

Sassolini di Lehner

Alain Elkann racconta su Repubblica, quotidiano del figlio, un viaggio in treno in direzione di Foggia. Diario di viaggio, il suo, condito da stupore per le stazioni di Caserta e Benevento e soprattutto da critiche verso certuni adolescenti definiti lanzichenecchi.

Nella cultura di un ebreo, i landsknecht rappresentano, invero, un’icona terribile e memorabile, vedi le stragi del 1630 in quel di Mantova e la successiva ineluttabile pestilenza di cui furono accusati e perseguiti come untori proprio i membri della numerosa comunità israelita.

Elkann esprime se stesso, vanità, pregiudizi e Weltanschauung compresi, niente altro che se stesso, certo che in una società liberale esporsi alla luce del sole come snob non sia un reato. In realtà, la religione della libertà è un sipario sempre strappato nella Penisola eternamente fascio-catto-comunista, oggi dominata dagli occhiuti agenti del politicamente corretto, ormai sul modello Ovra, Sant’Uffizio e/o Lubjanka.

Gli stacanovisti del controllo sono a caccia soprattutto dei kulaki del Terzo Millennio: un tempo, bastava possedere più di cinque galline, attualmente il kulak se la passa meglio – nel caso di Alain molto meglio – ma sempre nemico ed affamatore del popolo rimane.

Così, Alain Elkann appena conclama a mezzo stampa il suo essere un annoiato, insofferente snob, viene immediatamente subissato di pernacchie sanguinose. Anche leggere Proust in ferrovia diviene prova provata della asocialità criminale. E insulti e accuse provengono dagli stessi giornalisti pagati dal figlio John.

Ebbene, si può condividere o non un diario a bordo di Italo, ma farne un caso, sino a criminalizzare l’autore, rimanda, purtroppo, alla stagnante illiberalità nazionale. Ebbene, Alain ha diritto a essere e connotarsi snob, come tanti altri ad essere e dimostrarsi stronzi e cojoni, alla faccia degli odierni cekisti, agenti dell’Ovra, piccoli Torquemada iscritti all’Ordine.

Aggiornato il 25 luglio 2023 alle ore 13:29