Zaki graziato: contrordine compagni!

Cominciano a essere davvero troppe le figure di palta che la sinistra nostrana inanella da quando è opposizione al Governo di centrodestra.

L’ultima, in ordine di tempo, è sulla vicenda giudiziaria dello studente iscritto a un Master presso l’Università di Bologna, Patrick Zaki, di nazionalità egiziana. Il giovane universitario, di religione cristiana ortodossa coopta, viene arrestato il 7 febbraio del 2020, appena atterrato all’aeroporto del Cairo proveniente dall’Italia. Le accuse che la Procura di Mansura – città della regione del delta del Nilo – gli contesta sono pesantissime: minaccia alla sicurezza nazionale, incitamento a manifestazione illegale, sovversione, diffusione di notizie false e propaganda per il terrorismo. Tutto sarebbe nato dai commenti espressi da Zaki sui social contro il Governo del suo Paese. Dopo mesi di carcerazione preventiva, durante i quali il giovane avrebbe subito torture, il 14 settembre 2021 compare davanti a un tribunale egiziano che gli contesta esclusivamente il reato di “diffusione di false notizie dentro e fuori il Paese”. L’elemento di prova portato in giudizio dall’accusa è l’articolo, a firma di Zaki, pubblicato nel 2019 sul giornale libanese Daraj, nel quale si fa esplicito riferimento a pratiche discriminatorie e ad atti persecutori adottati dalle autorità egiziane ai danni della comunità copta, minoranza religiosa nel Paese. Il 7 dicembre 2021, il Tribunale ordina la scarcerazione dell’imputato Zaki.

Il processo continua fino alla sentenza definitiva – e inappellabile – dello scorso 18 luglio. La corte lo condanna a 3 anni di reclusione. Sottraendo i mesi già trascorsi in carcerazione preventiva, a Patrick restano da scontare 14 mesi di pena residua. Per il giovane si riaprono le porte del carcere, tra la costernazione e l’indignazione delle istituzioni occidentali che, fin dal primo momento, hanno sostenuto l’innocenza dello studente egiziano e stigmatizzato il clima repressivo instaurato in Egitto dal presidente-dittatore Abdel Fattah al-Sisi. Trascorrono alcune ore e c’è il colpo di scena: al-Sisi concede la grazia presidenziale a Zaki e a un pugno di altri condannati per reati politici. Il giovane è libero e può ritornare nella sua Bologna che lo attende a braccia aperte. Odissea finita per Patrick; teatrino comico della politica, invece, in piena attività. Già, perché la vicenda dell’universitario egiziano arrestato e incarcerato nel suo Paese natale è stata seguita dai Governi italiani che si sono succeduti dal 2020, ma con esiti chiaramente differenti. Quando Zaki è stato arrestato, a Palazzo Chigi c’era Giuseppe Conte. Non si erano affievoliti i toni della protesta delle autorità italiane contro quelle egiziane per l’ostruzionismo praticato nel corso delle indagini sulla morte di Giulio Regeni e per il rifiuto opposto a consegnare all’Italia, perché venissero processati, gli agenti degli apparati di sicurezza egiziani, sospettati di aver torturato e ucciso il giovane ricercatore. L’accondiscendenza del premier Conte verso la protesta di piazza contro Il Cairo ha contribuito a esacerbare gli animi e a irrigidire le posizioni degli inquirenti egiziani. Di fatto, le richieste italiane di libertà per Zaki sono rimaste inascoltate. Da quel momento, per il giovane non esiste alternativa alla prigione. Il 13 febbraio 2021, a Palazzo Chigi approda Mario Draghi. Con lui, sul fronte dei rapporti internazionali, diventa possibile scrivere un’altra storia. Il Governo si distacca dalle urla della piazza e comincia a lavorare nel giusto verso, attivando i canali diplomatici per trovare una via d’uscita al dramma di Patrick. Qualche risultato viene colto. Zaki viene scarcerato, di modo da poter seguire il processo da uomo libero.

Dall’ottobre 2022, a Palazzo Chigi c’è Giorgia Meloni. E il cambiamento di spartito nella gestione dei dossier più delicati appare evidente da subito. La punta di lancia dell’offensiva diplomatica dell’Italia per salvare Patrick si compone di tre elementi. Oltre al premier Meloni, scendono in campo: Antonio Tajani, ministro degli Esteri, capo della diplomazia nostrana e Alfredo Mantovano, (potentissimo) sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri nonché autorità delegata ai Servizi di informazione e sicurezza della Repubblica, con un debole per la militanza in difesa dei diritti delle minoranze cristiane perseguitate nel mondo. Il calcio d’inizio della partita per la libertà di Zaki è del 27 novembre dello scorso anno, quando nella imponente cornice della Conferenza mondiale sul Clima Cop27 a Sharm el-Sheik, il premier italiano incontra il presidente egiziano. I due si parlano. Giorgia Meloni sfodera con al-Sisi la carta del “Piano Mattei” per l’Africa. L’idea cattura l’interesse dell’autocrate egiziano il quale, di là dalle manifestazioni di forza apparente, ha un serissimo problema di buco nei conti pubblici del suo Paese a cui associa un disperato bisogno di aiuto dai Paesi occidentali per sfamare i suoi concittadini. Inoltre, la presenza in Egitto della italiana Eni, pronta a investire miliardi di dollari per un progetto di estrazione petrolifera al largo della costa egiziana, pone al-Sisi nella condizione di non potere snobbare la mano tesa che gli tende Giorgia Meloni. L’affaire Zaki è in agenda, ma la circostanza non deve essere sbandierata ai quattro venti. Comincia il lavorio segreto che passa attraverso i canali diplomatici e dell’Intelligence.

Anche Antonio Tajani si reca in visita in Egitto, segno inequivoco dell’esistenza di un progetto di sviluppo delle relazioni bilaterali che procede e che, per evidenti ragioni, tiene dentro anche la questione Zaki. Così si arriva all’epilogo di queste ore. Prima l’annuncio della condanna, a cui il nostro ministro degli Esteri risponde con una presa di posizione che preannuncia un imminente esito positivo della vicenda. Dice Tajani a Simona Branchetti di Morning News che lo intervista: “Siamo molto attenti a questa vicenda, dobbiamo essere prudenti, ma ripeto: il governo segue con grande attenzione la vicenda di questo giovane egiziano che si è laureato all’università di Bologna”. Che tradotto dal linguaggio criptico della diplomazia si legge: ragazzi, calma e gesso che qualcosa bolle in pentola. E a bollire in pentola c’è proprio la carta a sorpresa della grazia immediata. Che è sorprendente, anche per la tempistica con la quale è stata concessa: a meno di 24 ore dalla sentenza. Un record. Anche un bambino capirebbe che tutto è stato concordato in precedenza ai massimi livelli governativi dei due Paesi. A chiudere il cerchio pensa l’ambasciatore egiziano in Italia, Bassam Rady, che in un messaggio all’Ansa dichiara: “L’uso da parte del presidente al-Sisi della sua autorità costituzionale per concedere la grazia presidenziale è un apprezzamento personale per la profondità e la forza delle relazioni italo-egiziane, e la rapidità della grazia ne è la migliore prova, in particolare poiché è avvenuto meno di ventiquattro ore dopo l’emissione della sentenza definitiva”.

Un successo, quindi, per la strategia internazionale imposta dalla Meloni e che riporta l’Italia al centro del quadrante del Mediterraneo, dopo gli anni di autoemarginazione a cui la sinistra al Governo ci aveva consegnati. Nella visione del centrodestra la tela dei rapporti che va intessuta deve correre da Roma simultaneamente in direzione di Rabat, Algeri, Tunisi, Tripoli, Bengasi e Il Cairo. Perché il destino dell’Italia non è solo in Europa ma anche sulle rive del Mare nostrum.

E la sinistra? Si comporta come un asino in mezzo a suoni, è frastornata. Perciò, rimedia figuracce. Sulla vicenda Zaki in 24 ore ha detto tutto e il suo contrario. Prima – all’annuncio della condanna – ha provato a gettare la croce sul Governo Meloni accusandolo di debolezza verso gli autocrati della sponda africana del Mediterraneo; poi, quando si è diffusa la notizia della grazia presidenziale, si è inventata l’impossibile – Laura Boldrini su Twitter: “Patrick Zaki è definitivamente libero!... Grazie a chi ha contribuito alla sua liberazione e alla grande e incessante mobilitazione della città di Bologna, della sua Università, di Amnesty International Italia e di tutti coloro che non hanno mai smesso di crederci” – pur di non ammettere il successo del Governo.

C’è un solo aggettivo per qualificare il comportamento della sinistra in queste ore di soddisfazione per l’orgoglio nazionale: patetico. È proprio vero che per cesellare figure di palta occorrono personaggi dalla faccia di palta. E nel possesso di tale profilo, la sinistra nostrana eccelle.

Aggiornato il 24 luglio 2023 alle ore 09:52