Il reato che non esiste: il concorso esterno

Si può abolire qualcosa che non esiste? Evidentemente no. Pensare di poterlo fare sarebbe davvero da sciocchi.

Eppure, da molti giorni sedicenti intellettuali, opinionisti di vaglia, noti giornalisti, invitati ad esprimersi sulle posizioni del ministro Carlo Nordio circa il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, manifestano la loro grande preoccupazione, perché – così dicono – il ministro vorrebbe abolire questa figura di reato, assai utile per la lotta contro la mafia.

In realtà, il ministro non potrà mai abolire un bel nulla, per il semplice motivo che una norma che preveda tale reato e che possa essere abolita o riformata non esiste e perciò non può essere abrogata o modificata non più di quanto possa esserlo il nulla.

Tutti sappiamo infatti che il concorso esterno è il risultato di una elaborazione giurisprudenziale degli ultimi decenni, tanto spregiudicata, quanto pericolosa.

Spregiudicata, perché, a mia memoria (cioè nell’ultimo mezzo secolo), mai la giurisprudenza aveva osato poter creare dal nulla una nuova figura di reato, come invece ha fatto nel caso in esame e per di più in una materia grave e delicata come quella dei reati di mafia; pericolosa, perché è obiettivamente pericolosissimo mandare le persone in carcere per anni soltanto sulla base di una fattispecie non codificata e frutto di una serie, peraltro a volte contraddittoria, di sentenze interpretative di altre norme.

Già quanto osservato sarebbe sufficiente per cancellare questo modo di procedere perché contrario ai più elementari principi del diritto – quelli tanto osteggiati dai giacobini di casa nostra (Travaglio, Gruber, Saviano, Davigo, ecc.), i quali tuttavia son pronti a giovarsene quando sono essi stessi in pericolo di condanna – ma il ministro Nordio non ha proposto in alcun modo la cancellazione di questo reato.

Certo, egli ha messo in luce, come non poteva non essere, le assurdità di una simile malferma ricostruzione giurisprudenziale.

In particolare, Nordio ha dichiarato, come già più volte aveva fatto in passato, che il concorso esterno alla associazione mafiosa rappresenta dal punto di vista logico-giuridico un autentico ossimoro, in quanto concetto autocontraddittorio.

Infatti, dal momento che il concorrente altro non è che un partecipe del reato (qualunque esso sia), se uno concorre al reato associativo vuol dire che ne è partecipe, cioè che è a pieno titolo associato e allora non si giustifica la creazione di una figura autonoma del reato; se invece si vuol dire che questo soggetto rimane esterno alla associazione, allora non può esserne concorrente perché sarebbe ad essa interno. Da questa contraddizione – evidentemente troppo complicata per essere percepita da tanti esponenti politici di sinistra e da tanti giornali politicamente corretti – non si esce e bisogna trovare allora una via diversa da battere.

Ed è questo precisamente che intende fare Nordio. Egli intende procedere, quando sarà il momento opportuno (e perciò non adesso) e con tutte le cautele del caso, ad una strutturazione di una figura di reato che, senza contraddizioni, sia in grado di punire condotte che oggi vanno sotto il malfermo titolo di concorso esterno, e che invece domani potrebbero ricadere sotto una nuova e ponderata fattispecie incriminatrice inserita a pieno titolo nel Codice penale.

Visto che lo scopo dichiarato del ministro pare proprio essere questo, anche al fine di eliminare le incertezze e le diverse letture che Corti e Tribunali e perfino la Cassazione hanno offerto del concorso esterno, le accuse che gli vengono rivolte – in sostanza quelle di porsi come “favoreggiatore” della mafia – non solo sono volgarmente calunniose e diffamatorie, ma appaiono, ancor prima, frutto di stupidità, di assenza del pensiero.

Solo l’assenza del pensiero può partorire calunnie di questa gravità nei confronti di un ministro della Giustizia di elevatissime qualità umane e tecniche – come mai l’Italia ha avuto negli ultimi vent’anni – il quale intende soltanto ridurre ad unità i dispersi elementi di una giurisprudenza ancora troppo volatile e incerta, codificandoli a beneficio di tutti (anche dei giacobini che lo criticano), in modo da far loro acquisire pieno significato giuridico.

E far questo sarebbe favorire la mafia? Il vero è che una tale operazione di definizione codicistica del reato sarebbe di assoluto vantaggio per tutti, innocenti e colpevoli, nella cornice di uno stato di diritto.

I primi saprebbero da quali comportamenti guardarsi. I secondi capirebbero con sufficiente certezza perché son finiti in carcere. Perché oggi, per come son messe le cose, né quelli né questi ci capiscono nulla.  

Aggiornato il 20 luglio 2023 alle ore 10:37