Centrodestra europeo: Salvini sulle orme di Berlusconi

Nel gioco degli scacchi l’“Apertura” indica la fase inziale della partita, quella in cui si guadagnano spazi e posizioni determinanti per lo svolgimento della partita e per il suo esito finale.

L’annuncio fatto ieri l’altro da Matteo Salvini in ordine alla possibilità di replicare in Europa il modello del centrodestra italiano è l’“apertura” del leader leghista in vista delle prossime elezioni europee. È una mossa azzeccata, perché scompagina i tradizionali schemi di gioco e porta alla luce alternative di governo dell’Europa in grado di mettere definitivamente all’angolo l’arroganza della sinistra progressista. Per coraggio e originalità la si potrebbe definire una mossa alla Berlusconi, dalla rara genialità del compianto leader forzista di saper ragionare fuori dagli schemi. Cosa propone Salvini?

Un’idea di buon senso. In previsione di un’affermazione elettorale dei popolari e dei conservatori, perché non valutare anche in sede europea la creazione di una nuova maggioranza popolari-conservatori aperta alla formazione sovranista Identità e Democrazia a cui aderiscono la Lega e il Rassemblement National di Marine Le Pen? A pensarci bene ci potrebbe stare. Le piattaforme politiche delle tre grandi famiglie ideologiche continentali del centro e della destra hanno non pochi punti di contatto. Certo, vi sono alcune differenze in apparenza inconciliabili, come il giudizio sulla guerra russo-ucraina e sul tenore dei rapporti che l’Unione europea dovrebbe intrattenere con Mosca. È noto che, mentre popolari e conservatori sono schierati incondizionatamente al fianco dell’Ucraina, la Lega e il Rassemblement National si mostrano più disponibili a riaprire un dialogo costruttivo con la Federazione Russa. Basterebbe tale differenziazione a far abortire qualsiasi tentativo d’intesa, tuttavia bisognerebbe chiedersi se la politica non debba essere soprattutto il luogo di composizione delle istanze originariamente inconciliabili. A seguire l’insegnamento di Silvio Berlusconi, la risposta non potrebbe che essere affermativa. Non fu forse lui, nel 1994, a mettere insieme in un’impegnativa convivenza gli indipendentisti della Lega padana di Umberto Bossi e i nazionalisti patriottici di Alleanza nazionale? Quella mirabile opera d’ingegno politico venne chiamata “centrodestra”.

Non siamo tanto ingenui da ritenere che un’alleanza strategica tra popolari, conservatori e sovranisti sia possibile oggi, alle condizioni date. Tuttavia, bisogna tenere a mente un concetto fondamentale: la costruzione di una coalizione in un sistema democratico è un processo. Come tale necessita di tempi di maturazione e, soprattutto, dello sforzo di tutte le parti che vi concorrono a negoziare punti comuni sui quali riconoscersi e ad accantonare i fattori maggiormente divisivi. Ciò significa che la destra sovranista lepeniana, con il sostegno degli omologhi italiani, deve fare significative correzioni di rotta per avvicinarsi alle ragioni dei popolari e dei conservatori. Gli stessi sforzi compiuti dalla Lega di Salvini per giungere, insieme con gli alleati, al governo dell’Italia. E restarvi, diversamente da ciò che accadde con l’esperienza anomala con i Cinque Stelle. Popolari e conservatori, dal canto loro, devono liberarsi dei luoghi comuni e dei pregiudizi sui partiti che un tempo rivendicavano orgogliosamente l’appartenenza all’estrema destra. In Francia, il partito della Le Pen non è la formazione politica estremista dei tempi del suo fondatore, Jean-Marie Le Pen. In particolare, sui diritti sociali per i meno abbienti, per i lavoratori e per il ceto medio produttivo marginalizzato dall’avvento della globalizzazione, il Rassemblement National ha compiuto passi da gigante, arrivando a scalzare la sinistra dai suoi tradizionali feudi elettorali. È vero che sui temi del contrasto all’immigrazione e sulle politiche securitarie la posizione di Marine Le Pen non è cambiata, ma quanti in Europa pur dichiarandosi di sinistra e progressisti hanno le medesime posizioni oltranziste? Parecchi. Il Rassemblement national punta a costruire un’Europa delle patrie, in cui ogni nazione non venga prevaricata dallo strapotere delle eurocrazie nella definizione delle proprie politiche interne. Cosa c’è di sbagliato in questo? Se poi si vuol ridurre la questione del rapporto con Marine Le Pen a una faccenda di mera geografia partitica, allora vi è da precisare che il suo cammino verso posizioni più temperate ha creato uno spazio vuoto alla sua destra, prontamente occupato da un personaggio estremista: Éric Zemmour. Il suo partito, Reconquête (R!), di recente conio (data di fondazione: 5 dicembre 2021) ha corso alle legislative del 2022 ottenendo il 4,2 per cento dei consensi. Zemmour, in Francia, incarna lo spirito autentico del revanscismo. Non Marine Le Pen, che resta la migliore interprete della filosofia paneuropea di Charles de Gaulle. Si obietterà: non c’è solo Le Pen a creare imbarazzo. Come si potrebbe conciliare la posizione di popolari e conservatori con gli estremisti della tedesca Alternative für Deutschland (Afd)? Non si deve. Non tutto è conciliabile. Ciononostante, la Afd non sarà la pietra d’inciampo su cui si andrà a incagliare il dialogo a destra. Un particolare lo impedisce. Alternative für Deutschland ha solo aderito al gruppo europarlamentare di Identità e Democrazia, non al partito che lo sostiene. La formazione politica europea sovranista è supportata sostanzialmente dalla Lega e dal Rassemblement National. Tutte le altre formazioni nazionali aderenti marcano una presenza poco più che simbolica. Ciò significa che Identità e Democrazia va dove Salvini e Le Pen decidono che debba andare.

Sbaglierebbero di grosso gli alleati italiani di Salvini se, in vista della prossima composizione della maggioranza all’Europarlamento, pensassero di rivolgersi ai liberali di Renew Europe invece che ai sovranisti di Identità e Democrazia. Tanto per intenderci: i membri di Renew Europe più che liberali in senso classico sono liberal, cioè una declinazione del progressismo. Non a caso in Italia Renew Europe è rappresentata da Matteo Renzi e Carlo Calenda, ai quali si aggiunge l’esponente di +Europa, Riccardo Magi – quello dello spinello libero e della maternità surrogata solidale – che a Bruxelles sta nel Partito dell'Alleanza dei Liberali e dei Democratici per l'Europa (Alde), a sua volta confluito nel 2019 in Renew Europe.

Al riguardo, appare sorprendente la reazione negativa del presidente di Forza Italia, Antonio Tajani, alle parole di Matteo Salvini sulla convergenza in Europa dei sovranisti con i popolari e i conservatori. Non è da erede di Berlusconi rispondere all’offerta con un secco “mai con la Le Pen”. A parte il fatto che in politica la parola mai non ha cittadinanza, c’è una questione di puro pragmatismo politico che dovrebbe interrogare gli orfani berlusconiani. Per come si sono messe le cose in Francia con il fallimento politico di Emmanuel Macron, non è da escludere che alle prossime presidenziali Marine Le Pen possa spuntarla sugli altri candidati diventando la prima donna presidente della République. A quel punto cosa faranno Antonio Tajani, Manfred Weber e tutta la compagnia del Ppe? Cancelleranno la Francia dalla carta geografica perché loro con la Le Pen non ci parlano? Per stare in politica ad alti livelli occorre avere molte diottrie, i miopi non fanno tanta strada. Più saggia la posizione di Giorgia Meloni, che non ha commentato l’uscita di Matteo Salvini. La leader di Fratelli d’Italia sa bene che lasciare spazio alla sua destra a una forza sovranista d’opposizione potrebbe essere un’insidiosa controindicazione per la costruzione in Europa di una maggioranza “Giorgia” in luogo dell’attuale “Ursula”. Ragion per cui, prima di chiudere le porte ai sovranisti, la Meloni ci penserà parecchio. Anche perché un’alleanza, sebbene fuori del territorio nazionale, con personaggi dall’elevato grado d’inaffidabilità del calibro di un Renzi o di un Calenda potrebbe avere un impatto negativo sulla coesione della coalizione di governo. E poi, quanto sarebbe capita dal suo elettorato?

Al momento, osserviamo con interesse le mosse di Matteo Salvini che sembra molto ispirato nel portare avanti il suo progetto. Che gli sia venuto in sogno l’amico Silvio per dirgli col suo inconfondibile tono per metà affettuoso e per l’altra metà paterno: “Vai avanti Matteo, ma sta attento”? Se si crede nell’aldilà tutto è possibile, anche che Berlusconi sia riapparso a Salvini nello stato crepuscolare onirico, perché lui, il vecchio leone, dalla politica e dal bene degli italiani proprio non riesce a stare lontano. Neanche da morto.

Aggiornato il 05 luglio 2023 alle ore 10:10