Mes, le ragioni di Giorgetti

Difficile trattenere lo stupore di fronte alle nuove spaccature sull’argomento Mes. Periodicamente si riaccende il dibattito su questo Mes, come se fosse un organismo che ancora non esiste, quando invece esso è da anni pienamente operativo. Forse nel settembre del 2012, quando fu istituito in sostituzione del Fondo salva-Stati con lo scopo di fornire assistenza finanziaria a uno Stato membro in difficoltà, qualcuno avrebbe dovuto alzare la voce e obiettare quello che doveva obiettare. Data la complessità del Meccanismo europeo di stabilità nessuno però fu in grado di capire e approfondire. Così il nostro Parlamento ratificò il trattato in pochi giorni con sbrigativi passaggi d’Aula, privi di interventi che spiegassero, realmente, la portata del provvedimento. Le dichiarazioni di voto di tutti i partiti furono poche e limitate all’essenziale, incentrate più su aspetti quali l’immunità giuridica prevista per gli appartenenti al nuovo organismo o ai fondi da sborsare per entrarvi, che ai complessi meccanismi definiti “di stabilizzazione” o di controllo del beneficiario del prestito. Il Governo era quello tecnico di Mario Monti, il provvedimento passò a maggioranza quasi unanime e solo la Lega espresse il voto contrario.

Ora se ne torna a parlare dopo che, ancora una volta, se ne rammenta l’esistenza in occasione di un emendamento di non facile lettura che, dopo lo sblocco tedesco, solo l’Italia non ha ancora ratificato. A prima vista, pare che il nuovo testo non sottoporrebbe il Paese che ne fa ricorso alle condizionalità che prima venivano concordate mediante un Memorandum of Understanding, ma i parametri verrebbero valutati prima della concessione. Come di fatto succede tra una banca che concede un prestito e il beneficiario: se non vi sono garanzie, i soldi non vengono dati. La proposta di riforma, soprattutto non prevede, né annuncia, un meccanismo di ristrutturazione dei debiti sovrani e non affida al Mes compiti di sorveglianza macroeconomica, attribuendogli invece una nuova funzione, quella di fornire una rete di sicurezza finanziaria al Fondo di risoluzione unico (Single Resolution Fund) nell’ambito del sistema di gestione delle crisi bancarie, affinché il costo dei dissesti bancari sia a carico del settore finanziario e non dei contribuenti.

Non si capisce, pertanto, perché la modifica provochi divisioni e dissensi. Se invece è motivo per rinnovate perplessità nei confronti dell’organismo, allora è un altro discorso. Per quanto riguarda i conti e i possibili benefici, il Mes è previsto che abbia a regime una dotazione di 704 miliardi da finanziare gradualmente dai singoli Stati membri, con una ripartizione percentuale in base al Pil e all’importanza economica. La Germania contribuisce per il 27,1 per cento, seguita dalla Francia con il 20,3 per cento e dall’Italia con il 17,9 per cento. Il nostro Paese, sinora, ha versato poco più di 15 miliardi, se si escludono i contributi al precedente Fondo salva-Stati di cui il Mes ha preso il posto. Calcolando le percentuali degli altri Stati, il Mes dovrebbe avere in cassa, pertanto, circa 80 miliardi sulla cui leva ha emesso negli anni sino a 300 miliardi di obbligazioni. In base ai documenti in circolazione, l’Italia potrebbe beneficiare di un prestito pari al 2 per cento del Pil, quindi circa 36 miliardi.

In poche parole: a regime noi avremo versato 125 miliardi a fondo perduto per riceverne in prestito, se meritevoli, forse 36. Non sembra un buon affare, diamo soldi al Mes per farceli prestare con gli interessi e concedendo il diritto di controllare come terremo a posto i conti! Bisognava pensarci prima e l’emendamento in questo cambia poco ed è tardi per mettere in discussione un trattato, quello istitutivo, già ratificato e in vigore. In sintesi, non sembrano esserci quei benefici ravvisati dai tecnici del Ministero dell’Economia, ma sicuramente mantenere una ferma opposizione alla ratifica della modifica non servirebbe a nulla e comporterebbe svantaggi nelle relazioni economiche con gli interlocutori da cui siamo in qualche modo dipendenti. Ratifichiamo, pertanto, e speriamo che abbia termine questa stupefacente bagarre solo nociva per l’immagine del governo.

Aggiornato il 23 giugno 2023 alle ore 18:12