Chiariamolo subito. Non siamo per nulla d’accordo con chi, a destra, usa toni trionfalistici nel giudicare lo stato confusionale nel quale versa il principale partito dell’opposizione. Pensiamo che dietro l’apparente follia suicida – politicamente parlando – della segretaria Elly Schlein si nasconda una sorprendente lucidità strategica. La giovane leader “dem” ha le idee chiarissime su cosa voglia fare da grande e, soprattutto, su come intenda plasmare il Partito Democratico a propria immagine. L’occasione della Direzione del partito, svoltasi ieri l’altro, ne è stato un esempio cristallino.
La Schlein non ha rinunciato alla vocazione maggioritaria, cifra identitaria della formazione del centrosinistra. Solo che non vuole perseguirla allo stesso modo dei suoi predecessori. Lei ha capito che il partito “omnibus” che tiene insieme, in un amalgama innaturale, tutte le declinazioni del progressismo, non funziona. Quando occorre compiere scelte sostanziali i contrasti interni conducono, dopo il dilagare di autolesionistici distinguo interni, all’unica postura tattica possibile: l’immobilismo. Essere ambigui su tutto ha fatto sì che il principale partito della sinistra perdesse appeal presso gli elettori, con le conseguenze che conosciamo in termini di caduta del consenso.
La Schlein ha deciso di fermare lo stillicidio del logoramento di tutte le segreterie del Pd dalla sua fondazione. A questo scopo contrattacca mettendo alle corde le minoranze interne. Per loro non resta che porsi la domanda capitale: restare o andarsene? La ragazza non è stupida. Era perfettamente consapevole del fatto che la decisone, non concordata, di fare capolino alla manifestazione di piazza organizzata dal Movimento Cinque Stelle avrebbe scatenato la bagarre tra i suoi. E così è stato. Allora perché l’ha fatto? Per poter dire in Direzione le cose che ha detto. E cioè: “Quando sento che non c’è una linea politica sorrido, di contenuti siamo pieni ma siamo bravi a coprirli con le divisioni interne. Se a qualcuno questa linea non piace lo ammetta e non trovi altre scuse. Siamo qui per restare e restare insieme e fare quello che ci hanno chiesto gli elettori alle primarie. Non c’è alcun bisogno di lealtà a me come segretaria ma di un po’ di rispetto al partito e agli elettori delle primarie”.
Un modo più diretto per accompagnare alla porta i contestatori non avrebbe potuto trovarlo. Tant’è che all’ultima Direzione, dopo una passerella di facce più o meno note le quali alternandosi ai microfoni della tribuna oratoria hanno sciorinato i prevedibili cahiers de doléances, tutti si sono zittiti di fronte all’aut-aut della segretaria. Nessuna sbattuta di porte c’è stata, nessuna uscita di scena clamorosa, nessuna teatralizzazione del dissenso. Ma non finisce qui, la programmata epurazione continuerà. Non mancheranno altre provocazioni da parte della segretaria per costringere i compagni di partito a dare forfait. La Schlein immagina un movimento ultra-progressista, fortemente compatto nel sostenere la sua linea e pronto ad allearsi con i Cinque Stelle e con la sinistra radicale della premiata ditta Nicola Fratoianni & Angelo Bonelli. E non solo.
Il disegno complessivo del costituendo campo progressista prevede un allargamento verso l’area moderata che la Schlein individua con millimetrica precisione. Non Italia Viva di Matteo Renzi, contro cui scaglia la sua invettiva, ma Azione di Carlo Calenda dovrà costituire la gamba centrista del vaticinato “campo largo”. Non a caso la possibilità di riaprire il dialogo con Azione è citata in un passaggio della relazione. Non si può non scorgere l’intento della segretaria Pd di volersi liberare dell’incomoda area riformista interna al partito, ma non volendo perderne definitivamente l’apporto in sede elettorale ha reso implicito il gradimento, per i fuoriusciti, di una confluenza nel contenitore di Calenda. C’è molto tatticismo nell’azione politica della giovane leader, degno di Helmuth Karl Bernhard Graf von Moltke, il generale prussiano a cui si deve la celeberrima espressione: marciare divisi, colpire uniti. Che è ciò che ha in testa di fare la giovane Elly. D’altro canto, lei risponde a una domanda di potere che è scritta nel Dna del Pd. Il programma sul quale chiamare a raccolta gli elettori non è la priorità. Conta l’humus. E quello c’è ed è del tutto condiviso dall’area presidiata attualmente dal M5S. Una società più “green”, con lo smantellamento di una parte dell’apparato industriale nazionale; più egualitaria, dal punto di vista degli equilibri sociali da ottenere “per decreto” mediante il ripristino di un rafforzato reddito universale di cittadinanza; più “liberal”, sul fronte del riconoscimento dei diritti civili con il riconoscimento delle adozioni dei figli di coppie gay e con la legalizzazione della pratica dell’utero in affitto ribattezzata ipocritamente maternità surrogata solidale; più pacifista, nel senso di totalmente disarmata; più accogliente, verso i migranti attraverso la soppressione delle frontiere; più multiculturale, grazie all’annullamento di ogni riferimento identitario; più onerosa, per l’aumento a dismisura della tassazione; più giustizialista, per aver seppellito il garantismo sotto una montagna di norme sanzionatorie; più burocratica, per il maggior potere consegnato alla Pubblica amministrazione di annichilire, con la tattica dei ritardi e con la farraginosità del sistema, la libera intrapresa imprenditoriale.
La Schlein, che peraltro non è riuscita a farsi approvare la relazione presentata in Direzione, ha riversato la “summa” del suo credo politico-filosofico in sette generici punti che dovranno costituire la base dell’iniziativa “un’estate militante”, pensata per lanciare la lunga campagna elettorale che ci condurrà alle Europee nella primavera del 2024. Un gioco pericoloso, quello messo in piedi dalla giovane Elly. Troppe le variabili in campo per non considerare la possibilità di un rovinoso fallimento. Ciò che probabilmente sta sfuggendo alle teste d’uovo del Pd, che hanno aiutato la leader ad approntare la strategia d’attacco contro gli avversari interni, è che il grosso della forza elettorale di cui il Pd dispone è nelle mani degli amministratori locali iscritti al partito. Ma sindaci e governatori regionali “rossi” con chi stanno? A vedere la reazione avuta contro la segreteria del partito che si è pregiudizialmente dichiarata contraria alla proposta del ministro della Giustizia Carlo Nordio di abrogare il reato d’abuso d’ufficio, se fossimo nei panni della Schlein non ci faremmo troppe illusioni. E poi, davvero Elly pensa di fare affidamento su un lunatico del calibro di Carlo Calenda per costruire il campo largo ai danni dell’ex sodale Matteo Renzi? E i riformisti che vorrebbe espungere dal Partito Democratico, è certa che andranno verso Azione e non proveranno a ricongiungersi con il “primo amore” Renzi?
Al momento, nessuno ha la sfera di cristallo per sapere in anticipo come andrà, se la Schlein riuscirà a vincere la scommessa di fare del Partito Democratico il movimento di Elly e dei suoi amici molto radical e poco chic, come chioserebbe sardonico il Governatore “piddino” della Campania, Vincenzo De Luca. Perciò, il centrodestra non deve cadere nell’errore esiziale di ritenere già vinta la partita con questa sinistra. Bisogna restare vigili e, soprattutto, lavorare per togliere acqua alle argomentazioni dei progressisti. Sarebbe catastrofico se la destra imboccasse specularmente il vicolo cieco dei “No” pregiudiziali, in cui si è ficcata la sinistra. Alla visione dogmatica coltivata a sinistra deve essere opposta una lettura “laica” dei problemi della società. Ciò vuol dire non aver paura di sfidare la Schlein sul suo terreno.
Intanto, della capacità di fare squadra a sinistra avremo prova questo fine settimana, quando i molisani andranno alle urne per scegliere il prossimo presidente della Giunta e il Consiglio regionale. Nella piccola regione a cavallo tra il Centro e il Sud Italia il Pd corre in coalizione con i Cinque Stelle appoggiandone il candidato presidente. Si obietterà: si tratta di pochi voti che non bastano a fornire un’indicazione di tendenza valida per l’intero territorio nazionale. Sarà, ma quando sono i cittadini a parlare mediante l’esercizio sovrano del voto è un segno. E se la sinistra dovesse uscire sconfitta dalle urne difficilmente la giovane Schlein, che qualche commentatore politico ha ribattezzato con efficace espressione “muro di gomma”, potrà fare finta che anche stavolta, dopo la scoppola rimediata alle ultime amministrative, non sia accaduto nulla.
Aggiornato il 21 giugno 2023 alle ore 10:40