Sulle sorti di Forza Italia circola sui media un perverso sillogismo che suona pressappoco così: Berlusconi è Forza Italia – Berlusconi è morto – Forza Italia è morta.
Piacerebbe a molti, specie a sinistra, che fosse vero, ma non lo è. Per metterla sull’ironico, sarebbe più appropriata la riscrittura della battuta di Eugene Ionesco erroneamente attribuita a Woody Allen: “Dio è morto, Berlusconi pure, e anche Forza Italia non si sente molto bene”.
Come non comprendere il senso di smarrimento che deve aver colto la dirigenza del partito azzurro di fronte all’improvvisa scomparsa del suo leader? Un capo che è stato immensamente più di un presidente di partito. Silvio Berlusconi è stato sorgente di vita e d’ispirazione per la sua compagine, la cui missione è stata quella di traslare nella prassi quotidiana la visione politica del padre fondatore. Perciò, nei riguardi di quei dirigenti forzisti che oggi, disorientati, si guardano intorno chiedendosi che fare, il tradizionale elettorato berlusconiano deve mostrare gli stessi comportamenti compassionevoli riservati agli orfani. Già, perché essi tali sono. E non v’è nulla di male a riconoscere di esserlo quando per una vita non si è fatto altro che definire Silvio Berlusconi un padre, prima ancora che un capopartito. Tuttavia, come avviene per chi inaspettatamente subisca una perdita incolmabile, è necessario che tutti loro elaborino il lutto per potere andare avanti. Perché di una cosa si può essere certi: la vita continua.
Il vecchio leone lascia la sua creatura politica in buone condizioni, con sufficienti motivazioni per desiderare di sopravvivere alla scomparsa del suo creatore. Forza Italia è perfettamente integrata nella coalizione di centrodestra, dove ha un ruolo tutt’altro che marginale. I suoi alleati – Matteo Salvini e Giorgia Meloni – non hanno alcun interesse a scalarla perché sono consapevoli del fatto che il nocciolo duro dell’elettorato berlusconiano non apprezzerebbe l’aggressione e, di conseguenza, non li seguirebbe. Verosimilmente, finirebbe col defluire verso il già nutrito serbatoio dell’astensione. D’altro canto, è impensabile immaginare che quell’elettorato possa trasferirsi a sinistra, in direzione dei partiti dell’evanescente Terzo Polo. Come hanno dimostrato tutte le prove elettorali affrontate dal 1994 – anno della discesa in campo del Cavaliere – a oggi, chi vota Forza Italia è antropologicamente, e per presupposti valoriali, persona di destra. Di una destra liberale, riformista, atlantista ed europeista, declinata con in tutti gli “ismi” positivi concepibili, ma pur sempre “destra”. Si obietterà: nella propaganda forzista ha fatto puntualmente capolino l’idea di rappresentare il centro della politica. Vero, ma si è trattato di un espediente comunicativo per rassicurare quella parte di elettori del ceto medio, classificati con improprio termine “moderati”. Niente più di questo, visto che in una democrazia bipolare il centro non ha ragione di esistere. Come, di fatto, in tutti questi anni non è esistito se non nelle utopiche aspirazioni di qualche personaggio di seconda fila della partitocrazia, desideroso di ricavare per sé uno spazio di agibilità politica altrimenti precluso dalla presenza totalizzante dei due grandi blocchi contrapposti.
Il destino, dunque, di Forza Italia è di sopravvivere alla sua sorgente di vita. Non è necessario che ci si perda alla ricerca di una figura carismatica che sostituisca quella del vecchio leone. Sarebbe fatica inutile, perché un profilo di uguale spessore umano e politico non esiste. Berlusconi, possa piacere o no, è stato un unicum di intuito, razionalità e fantasia nella gestione della complessità della sua poliedrica vita pubblica. Ciò di cui ha bisogno il partito che è stato di Berlusconi è di un processo organizzativo interno che riassegni ruoli e funzioni in ragione dell’inevitabile cambio di paradigma. Qualcuno invoca, in un’ottica di successione dinastica, la discesa in campo di uno degli eredi testamentari di Silvio Berlusconi. E già circolano gli identikit di chi tra i figli abbia le physique du rôle più accostabile a quello di un capo politico. Tempo sprecato. Difficilmente qualcuno tra gli eredi del vecchio leone proverà a prenderne il posto. Se Berlusconi avesse voluto investire uno dei suoi ragazzi del titolo di erede al trono di Forza Italia lo avrebbe fatto anni addietro, preparandolo per tempo alle asprezze dell’agone politico. Probabilmente, non lo ha fatto per un comprensibile atto d’amore. Lui per primo era ben cosciente che chiunque dei suoi figli avesse preso il suo posto in Forza Italia per tutti, fuori e dentro al partito, non sarebbe mai stato un uomo nuovo o una donna nuova, ma solo e desolatamente il “figlio di cotanto papà”. Ciò, però, non significa che la famiglia Berlusconi prenderà le distanze da Forza Italia. Un’intelligenza, costante e discreta, tra i vertici del mondo imprenditoriale berlusconiano e quelli del partito, vi sarà sempre. La dimensione raggiunta dalla galassia Mediaset richiede, per la sua prosperità, un rapporto solido e dialogante con le istituzioni pubbliche. Forza Italia dovrà continuare a essere uno dei veicoli di trasmissione di tale rapporto. Nell’immediato è scontato che sia Antonio Tajani a prenderne il timone. Non è solo l’uomo dell’intesa con Giorgia Meloni. Il ruolo di ambasciatore di Forza Italia presso i sodali europei e d’Oltreoceano, oltre che presso il vertice del Partito popolare europeo, fa di Tajani l’uomo-chiave della transizione dal vecchio al nuovo corso, nel momento in cui vi è bisogno della massima fiducia possibile da parte degli alleati esteri per accreditare, in tutti i consessi internazionali, la Forza Italia orfana del suo padre fondatore.
E poi, pensare a un “dopo” fatto di liti furibonde, di assalti alla diligenza per strappare brandelli di eredità politica, lasciata incustodita dal defunto leader alla mercé dei predatori, significa fare un torto grave alla memoria di Silvio Berlusconi. Un uomo al quale è stato riconosciuto il merito di aver costruito con maniacale attenzione ai particolari qualcosa di grande non può non aver disposto il percorso di transizione per la gestione del dopo-di-lui. Col tempo si scoprirà l’ovvio, cioè che un fanatico della perfezione com’è stato in vita il vecchio leone ha tracciato, fino al più insignificante dettaglio, la strada ai suoi successori per un lungo tratto. Ben oltre l’orizzonte ravvicinato delle Europee del 2024. Chi si è illuso di assistere, in Forza Italia, alla proiezione aggiornata del film apocalittico “The Day After” dovrà rassegnarsi e godersi un più rassicurante “Tutti insieme appassionatamente”, musical molto nelle corde romantiche del Cavaliere. Con una sola prevedibile certezza: non sarà la pur simpatica e combattiva senatrice Licia Ronzulli a interpretare il ruolo che fu di Julie Andrews nella versione originale del film.
Aggiornato il 19 giugno 2023 alle ore 10:10