Deceduto Silvio Berlusconi, dopo 30 anni dall’inizio della sua carriera politica, dopo diversi suoi governi, dopo innumerevoli processi, dopo polemiche, scontri e scandali, è d’obbligo, almeno per chi non legge la realtà secondo apriorismi ideologici, stilare un bilancio del suo intervento sulla storia politica e giuridica dell’Italia.
Senza infingimenti, lasciando la damnatio memoriae ai libri di storia che saranno scritti dai soliti storici di parte, e superando le celebrazioni beatificatorie tipiche dei più opachi e viscidi esponenti della sua più ristretta “corte”, si possono individuare almeno tre grandi meriti e tre grandi demeriti che hanno contraddistinto l’azione politico-culturale di Silvio Berlusconi.
Si cominci dai meriti.
In primo luogo: il più grande merito di Berlusconi è quello di aver costituito e rappresentato un argine – specialmente dopo la macellazione giudiziaria della classe politica nazionale da parte di “Mani pulite” – al predominio assoluto e altrimenti incontrastato della sinistra post-comunista.
Berlusconi, infatti, è riuscito a dimostrare che l’elettorato italiano era prevalentemente anti-comunista, moderato, di orientamento liberal-cattolico e contrario a quel sistema di potere creato dalla sinistra italiana con la triangolazione di tre cooperanti forze, cioè una parte minoritaria, ma attivissima della magistratura, il polo bancario-assicurativo-cooperativo e l’informazione di massa fiancheggiata da una robusta intellighenzia vetero e post-comunista ben radicata sia all’interno di scuola che dell’università.
Berlusconi ha l’innegabile merito di aver saputo organizzare, in breve tempo, con tutto sommato scarse risorse, e con un efficacissimo risultato, una adunanza politico-culturale in grado di resistere all’ondata rossa che dopo Tangentopoli minacciava di assumere in Italia un potere sostanzialmente totale (e senza un’opposizione reale, finanche totalitario).
Berlusconi, in definitiva, offrì al Paese una alternativa politica a una politica senza alternative: e questo è oggettivamente un merito per la salvaguardia dell’integrità della democrazia italiana storicamente innegabile.
In secondo luogo: dopo la disfatta della Democrazia Cristiana, Berlusconi è riuscito a dare rappresentanza e spazio politico-mediatico – e questo è il suo secondo grande merito – a quella cultura cattolica che altrimenti sarebbe stata silenziata dall’avvento della sinistra post-comunista la quale, tra la secolarizzazione, lo scientismo e il relativismo etico, è diventata quel grande partito radicale di massa – strutturalmente e irrimediabilmente anti-cattolico – che già Augusto del Noce aveva lucidamente preconizzato alla fine degli anni Settanta del XX secolo, quasi un decennio prima della caduta del muro di Berlino.
La cultura cattolica ha avuto in Berlusconi un solido difensore, come comprova l’approvazione della tanto ingiustamente vituperata legge 40/2004 in tema di procreazione medicalmente assistita (che contiene peraltro l’unica norma che vieta e penalmente sanziona l’utero in affitto tanto caro alla sinistra di oggi), come comprova l’infinità di tentativi esperiti dal Governo e dai ministri dell’epoca per evitare in quelle convulse ore della notte del 9 febbraio 2009 l’eutanasia di Eluana Englaro, come comprova il tandem con la Cei, all’epoca presieduta dal grande Camillo Ruini, per vincere nel 2005 contro la proposta referendaria per l’abrogazione della suddetta legge 40 (referendum invece sostenuto da Gianfranco Fini).
Sul punto, ovviamente, i moralismi si sprecano, confondendo la morale cattolica con quella protestante e puritana secondo cui Berlusconi non avrebbe potuto realmente difendere la cultura cattolica poiché egli stesso non era un buon cattolico.
Posto che il buon cattolico è colui che sa di non esserlo, che la morale cattolica è un percorso in fieri di santificazione e non già una forma di moralismo da cartellino, occorre comunque e a maggior ragione riconoscere che la moralità privata di Berlusconi non può mettere in dubbio l’autenticità della correttezza delle suddette tre battaglie fondate sulle ragioni del diritto naturale e della razionalità universale del diritto, prima ancora che della morale soggettiva.
Chi afferma il contrario, sia come detrattore della morale cattolica, sia come detrattore di Berlusconi, dimostra non soltanto di fare confusione, ma soprattutto di non avere ben presente la distinzione tra morale e diritto, distinzione, invece, perfettamente operante nei predetti casi sostenuti da Berlusconi.
In terzo luogo: l’ultimo grande merito di Berlusconi – oggettivamente incontestabile – consiste nell’essere stato fautore degli Accordi di Pratica di Mare del maggio 2002, non soltanto sancendo la fine della guerra fredda tra Usa e Russia, ma facendo riavvicinare i leader delle due superpotenze, rispettivamente George Bush e Vladimir Putin, come mai prima e dopo sarebbe nuovamente accaduto.
È bene ricordarlo e tenerlo sempre ben presente, specialmente in un’epoca come quella attuale in cui dominano forze sconsiderate che – con l’alibi della guerra in Ucraina – stanno conducendo l’Europa e il mondo tutto verso un orizzonte offuscato dai funghi nucleari.
La politica estera di Berlusconi si fondava su un europeismo che non escludesse la Russia e che non si ponesse servilmente nei confronti dell’alleato d’Oltreoceano, ma si proponesse di dare pari rispetto e dignità agli Usa, all’Europa e alla Russia secondo uno schema cooperativo e non oppositivo.
Chiariti i meriti, però, vi sono da ricordare anche i demeriti, temporalmente più recenti.
Il primo grande demerito di Silvio Berlusconi è quello di non essere riuscito a creare e valorizzare una classe dirigente, politica e culturale in grado di sopravvivere al suo stesso personalismo.
Forza Italia, tranne rarissime eccezioni nel corso della sua storia, è stato sempre un partito con esponenti di scarso rilievo culturale e intellettuale, più interessati a corteggiare e ingraziarsi il leader che a contribuire realmente per portarne avanti la causa politica e culturale, al di là degli interessi personali o di quelli meramente elettorali.
Berlusconi, piaccia o meno ai suoi sostenitori e ai suoi detrattori, non è mai riuscito a promuovere personaggi in grado di incarnare la cultura alternativa alla sinistra che pur esiste in questo Paese, ma che vive e sopravvive da sé, senza quell’aiuto poderoso e fondamentale – non solo economico – che Berlusconi avrebbe potuto fornire e, purtroppo, mai ha fornito.
Invece dei personaggi di spettacolo, infatti, avrebbe dovuto promuovere i docenti non allineati con il pensiero unico della sinistra, i magistrati – numerosissimi in tutte le Corti d’Appello italiane – stanchi di essere pilotati dalla minoranza ideologizzata e agguerrita delle cosiddette “toghe rosse”, i giornalisti in grado di fare contro-informazione rispetto alla quotidiana disinformazione delle testate vicine, sodali o parallele alla sinistra.
Il secondo grave demerito di Berlusconi è quello di non essere riuscito a compiere le riforme originariamente annunciate.
Non è stata effettuata la riforma istituzionale, non è stata compiuta la riforma costituzionale, non è stata approvata la separazione delle carriere (riflesso della separazione dei poteri), non è stata completata la riforma fiscale che consentisse alla classe media – quella a cui si è sempre appellato – di sopravvivere dalle micidiali ingerenze tributarie di quel socio occulto e predatorio che è sostanzialmente il fisco italiano.
Senza dubbio, le motivazioni di tali incompiute sono molteplici e non sempre tutte esclusivamente ascrivibili in modo diretto a Silvio Berlusconi – poiché la realtà è sempre più complessa di ciò che si pensa e sempre polifattoriale – ma, nonostante ciò, è su Berlusconi che storicamente ricade la responsabilità politica di non aver saputo pilotare le suddette riforme per condurle in porto in modo definitivo e reale.
Infine, il terzo grave demerito di Berlusconi è quello più recente, cioè quello di avere avallato quelle politiche anti-liberali, anzi palesemente liberticide, anti-giuridiche e anti-umane, che sono state le politiche di gestione della pandemia.
Che molti parlamentari di Forza Italia le abbiano sostenute con convinzione – per conformismo, per timore, per incapacità critica, per scarsa preparazione giuridica e scientifica, per assenza di autentico spirito di libertà – non ha destato sorpresa, ma che sia stato Berlusconi in persona a difendere le grottesche follie giuridiche e mediche che durante la pandemia sono state somministrate al popolo italiano è fonte di sgomento tra quanti, in lui, hanno sempre riconosciuto un autentico difensore della libertà nella sua accezione più autentica e umana.
La difesa dalla peste del comunismo, che in quanto tale è liberticida e antiumano, mal si concilia con la difesa di provvedimenti anti-umani e liberticidi come il Green pass che ha emulato la propiska sovietica.
Probabilmente la malattia, l’età avanzata e i pessimi consigli dei fedelissimi di cui negli ultimi tempi si era circondato hanno senza dubbio obnubilato la capacità di giudizio di Berlusconi durante il tempo pandemico, sebbene questo non possa costituire una giustificazione, ma, al massimo, una spiegazione di una così dissonante divergenza tra l’ultimo Berlusconi e il Berlusconi originario.
Al di là di tutto ciò, un’ulteriore e ultima considerazione, però non può che effettuarsi. La storia di Berlusconi, con tutte le sue luci ed ombre, è ed è stata storia d’Italia e come tale dovrebbe essere scritta con la cautela del rispetto del principio di verità, cioè di qualcosa che è strutturalmente alieno ed estraneo al mondo della sinistra, per cui il quesito finale: Berlusconi, al netto delle sue mancanze oggettive e soggettive, ha difeso l’Italia dalla sinistra. Ma, in assenza di un suo reale successore politico, chi difenderà la memoria di Berlusconi dalla sinistra e dai suoi prezzolati storici?
Aggiornato il 14 giugno 2023 alle ore 10:05