Un deficit a percentuale variabile

Me ne sono accorto solo in questi giorni, ma come si suol dire: meglio tardi che mai. In sintesi, da qualche tempo chi occupa la stanza dei bottoni comunica il sempre critico deficit pubblico, anche detto disavanzo, non più sulla base delle entrate disponibili, bensì in rapporto al Prodotto interno lordo, ovvero la ricchezza realizzata in un anno dal Paese misurata in euro.

Qualcuno potrebbe obiettare che si tratta di un fatto puramente nominale, dal momento che la realtà dei nostri buchi di bilancio è sempre la stessa, a prescindere se essi si rapportano con la somma delle entrate pubbliche o con il citato Pil. Tuttavia, in questa delicatissima fase di rientro in quella pseudo-disciplina di bilancio la quale, oltre a chiedercela l’Europa, scaturisce dalla vitale esigenza di mantenere un certo livello di credibilità nei riguardi dei compratori del nostro colossale debito sovrano, anche l’occhio vuole la sua parte.

Infatti, ricordando che meno di cinque anni orsono – sembra passato un secolo – Giuseppe Conte e Luigi Di Maio esultavano per aver “strappato” alla stessa Europa un ulteriore scostamento dello 0,05 per cento nel deficit programmato (stiamo parlando di un disavanzo del 2,05 per cento, per capirci), oggi se adottassimo il criterio di valutazione che si è sempre usato, grosso modo parleremmo di buco nei conti pubblici di circa il 16 per cento.

D’altro canto, nel 2020 il disavanzo si è attestato a quasi il 20 per cento delle entrate, cosa assolutamente comprensibile, dal momento che la politica del terrore virale ha letteralmente bloccato l’economia per molto tempo. Ma pure nel 2021, sebbene l’effetto paralizzante delle folli misure anti-Covid fosse stato drasticamente ridimensionato, il bilancio dello Stato ha chiuso con un deficit interno al 18 per cento (quando a settembre dello stesso anno le stime governative lo davano al 14 per cento).

Ora, noi possiamo anche pensare che per non spaventare l’elettore medio si sia escogitato un tale giochetto contabile. Tuttavia, il medesimo giochetto, se così lo vogliamo definire, scaturisce da una situazione di emergenza finanziaria che, come ha spesso sottolineato il ministro dell’Economia e delle finanze, Giancarlo Giorgetti, avvalorato in questo da alcuni rapporti pubblicati dall’Istat, si è creata a causa di alcune assai discutibili scelte del passato, su tutti il famoso Superbonus del 110 per cento. Un Superbonus inventato dagli scappati di casa del Movimento Cinque Stelle che, non paghi di questa devastazione dei conti pubblici, hanno decisamente peggiorato la situazione imponendo la demenziale possibilità di cedere senza limitazioni il credito fiscale derivante da questo ennesimo tentativo di trovare il sistema perfetto per edificare il famoso Paese di Bengodi.

In conclusione, giochetti contabili a parte, mi sembra assolutamente evidente che Giorgia Meloni e la sua coalizione abbia ereditato un andamento dei conti pubblici del tutto insostenibile nel medio e lungo periodo, nell’ambito di un sentiero che definire stretto è poco. Ed in questa difficile situazione non credo che si possa prescindere dal parlare il più chiaro possibile ai cittadini e ai contribuenti italiani.

Aggiornato il 09 giugno 2023 alle ore 10:15