In questi giorni, a seguito di un agghiacciante fatto di cronaca, giornali e televisioni stanno dando grande spazio all’uccisione di una donna incinta di 7 mesi, la povera Giulia Tramontano di 29 anni. Autore reo-confesso – sebbene si debba sempre presumere la sua innocenza fino a sentenza definitiva – un trentenne barman di Senago, Comune della città metropolitana di Milano: Alessandro Impagnatiello.
Ora, al di là delle questioni legate alle indagini, le quali sono ancora nelle fasi iniziali, mi colpiscono due cose in modo particolare in questa terrificante vicenda: in primis, l’uso massivo della neo-lingua del pensiero unico che, avendo inventato un sostantivo di sana pianta, il “femminicidio”, ne fa discendere tutta una serie di considerazioni che lasciano veramente il tempo che trovano. In secondo luogo – secondo un’orrenda tendenza dell’informazione nostrana – la ben collaudata gogna mediatica anticipa il giudizio penale, influenzando decisamente lo stesso giudizio in tutti i suoi aspetti.
Per ciò che concerne il succitato femminicidio, nessuna reale emergenza sembra poter giustificare questa, a mio avviso, storpiatura di un termine come l’omicidio il quale, in estrema sintesi, deriva dall’uccisione di essere umano da parte di un altro essere umano. E dal momento che storicamente si è deciso ovunque di definire la nostra specie “homo sapiens”, a prescindere dal genere sessuale, ritengo che solo per motivi puramente propagandistici e strumentali sia stata imposta una simile differenziazione delittuosa.
Stando all’ultimo aggiornamento del Ministero dell’Interno, nel 2022 nel nostro Paese si sono registrati 319 omicidi di cui 125 con vittime di sesso femminile (circa il 39 per cento). Ben 140 episodi hanno avuto luogo in un contesto domestico e, in questo caso, 103 hanno colpito le donne (quasi il 74 per cento). Ebbene, considerando che sul piano complessivo l’Italia, in rapporto al numero di abitanti, è agli ultimi posti in questa poco edificante classifica, occorre anche sottolineare che i cosiddetti femminicidi vengono considerati tali solo quando avvengono nell’ambito di una relazione familiare o di coppia.
In merito poi alla succitata gogna mediatica, il discorso è molto semplice. Dato che essa contraddistingue in modo univoco quasi tutti i giornali e i canali radio-televisivi – analogamente a ciò che è accaduto durante la lunga caccia all’untore No-vax che ha caratterizzato l’epopea del Covid-19 – sarebbe superfluo citare questo o quel programma di pseudo approfondimento.
In estrema sintesi, sempre sostenuti da una pletora di esperti dal giudizio infallibile sul piano criminologico, gli stessi programmi arrivano in breve tempo a stabilire in maniera inconfutabile la colpevolezza del sospettato di turno, attribuendogli ogni possibile aggravante e mettendosi letteralmente sotto i piedi i suoi diritti di imputato. Nella fattispecie, dopo averlo dipinto come un personaggio estremamente cinico e privo di alcuno scrupolo morale, all’indomani della sua confessione, al barman di Senago è stata attribuita con certezza la premeditazione (premeditazione e crudeltà già escluse dal Giudice per le indagini preliminari), scartando a priori qualunque altro scenario, tra cui la possibilità di un delitto d’impeto.
D’altro canto, in questo caso i media hanno da sempre buon gioco a sollecitare ciò che potremmo definire come il meccanismo purificatore del capro espiatorio. Esso, tratteggiando nel modo più orrendo possibile il presunto autore di un crimine efferato, inducono chi ascolta in modo acritico un senso di auto-rassicurazione, sentendosi profondamente diverso e migliore rispetto al cattivone di turno.
Tant’è che, proprio a causa di questa preoccupante commistione tra giustizia e spettacolo, si ha l’impressione che non siano pochi i casi di persone finite all’ergastolo su base puramente indiziaria, ma che hanno avuto la sfortuna di finire sotto l’occhio implacabile dei media. Quest’ultimi colpevolisti più per tenere alti gli ascolti che per intima convinzione.
Personalmente, sono tra quelli che pensano che le pene vadano scontate fino all’ultimo giorno, ma con un importante paletto: esse debbono sempre essere comminate al di là di ogni ragionevole dubbio e non alterate da un pregiudizio mediatico costruito sulla base degli umori popolari.
Aggiornato il 07 giugno 2023 alle ore 09:58