La sinistra “intellò” se ne va sbattendo la porta: buon segno

Nel 1951 compariva su Rinascita (numeri 8 e 9, agosto-settembre), rivista d’élite della cultura marxista, un corsivo a firma di Roderigo di Castiglia, pseudonimo di Palmiro Togliatti. Il titolo (“Vittorini se n’è ghiuto, e soli ci ha lasciato!”), sgradevolmente ruvido, che parafrasava un verso di una canzone napoletana, riassumeva il contenuto dell’articolo mirato a denigrare la decisione – sofferta – dello scrittore Elio Vittorini di prendere le distanze dal Partito Comunista Italiano, al quale peraltro non era mai stato iscritto.

Da quel difficilissimo momento della storia d’Italia acqua ne è passata. Tuttavia, i protagonisti della vita politica e culturale di oggi non hanno la medesima caratura intellettuale dei loro predecessori. Se il volto degli scrittori di sinistra di allora – per stare alla letteratura – era quello di un Elio Vittorini, oggi la faccia è quella, fastidiosamente dispettosa, di un Nicola Lagioia. O peggio, di una Michela Murgia o di un Roberto Saviano. Ma tant’è.

Ciononostante, quella espressione sprezzante usata da Togliatti pensiamo possa rovesciarsi sul caso, tutto mediatico, della decisione di Lucia Annunziata di lasciare il servizio pubblico Rai. E dunque: Lucia se n’è ghiuta e soli ci ha lasciato! Per essere più precisi: Lucia se ne andrà. Già, perché il “me-ne-vado” non ha effetto immediato. La conduttrice di Mezz’ora in più intende concludere la stagione televisiva in corso per poi mollare dal prossimo anno. La scelta di andarsene è un suo diritto, chi lo nega. La motivazione che ha addotto al suo gesto, invece, è meno accettabile. Anzi, non lo è affatto. La signora Annunziata non può farsi passare da martire della resistenza al “Fascismo” del nuovo Governo. In primo luogo, perché l’Esecutivo Meloni non è il Gran Consiglio del Fascismo di mussoliniana memoria. In secondo luogo, perché nessuno l’ha mandata via o ha minacciato di comprimere il suo diritto di critica alla maggioranza politica chiamata dagli elettori – non da un golpe di militari – a guidare il Paese.

I vertici della Rai, di fresco rinnovati, hanno fatto sapere che la trasmissione domenicale dell’Annunziata è stata inserita regolarmente nel palinsesto della prossima stagione. Eppure, la Annunziata se ne va sbattendo la porta. In una lettera inviata ai vertici Rai, la conduttrice scrive: “Arrivo a questa scelta senza nessuna lamentela personale: giudicherete voi, ora che ne avete la responsabilità, il lavoro che ho fatto in questi anni. Vi arrivo perché non condivido nulla dell’operato dell’attuale governo, né sui contenuti, né sui metodi. In particolare non condivido le modalità dell’intervento sulla Rai”.

In realtà, dovremmo esserle tutti grati perché, in un colpo solo, l’Annunziata ha squarciato il velo d’ipocrisia con cui, negli ultimi trent’anni, la sinistra ha dissimulato il pieno controllo, con pugno di ferro, dell’emittente pubblica. Egemonia esercitata anche quando non ha ricevuto il consenso popolare, per via democratica, a restare al potere.

La prima verità. Lei dichiara di andarsene perché non condivide nulla nell’operato dell’attuale Governo. Quindi, stando allo schema di ragionamento dell’Annunziata, per condurre una trasmissione televisiva di approfondimento politico bisogna stare dalla parte di chi comanda. Gran bell’esempio di libertà d’opinione!

Ora si comprende perfettamente il perché, in una logica comunista di conquista delle casematte del potere, le conduzioni televisive dovessero essere rigorosamente allineate alle posizioni del partito più rappresentativo della sinistra. Ecco perché la destra ha sempre faticato ad avere intellettuali della propria area alla guida delle trasmissioni a contenuto politico. Grazie Lucia per questa “innocente” ammissione.

La seconda verità. Argomenta l’Annunziata: “In particolare non condivido le modalità dell’intervento sulla Rai”. Che dobbiamo intendere? Che non confermare alla direzione della Tv di Stato i dirigenti organici alla linea del Partito Democratico sia stato un reato di lesa maestà? Che cambiare verso alla Rai sia un’eresia? Grazie, anche per questa preziosa informazione. Come se non ce ne fossimo accorti da quel dì che il carrozzone della Tv pubblica fosse diventato l’ufficio propaganda dei vari leader che, partiti da “Botteghe Oscure” (la maggior parte) e dagli scantinati del Palazzo democristiano di “Piazza del Gesù” (qualche fan dossettiano-lapiriano), si sono alternati al Nazareno.

Da quel che capiamo, in Rai si sta preparando una transizione verso il pluralismo delle idee e della cultura, inibita per l’intero arco di vita della Seconda Repubblica. Che sia giunto il momento di farla finita con il dogma comunista dell’intellettuale che per essere riconosciuto tale deve essere “organico” al partito? D’altro canto, la forza liberatrice del divenire della Storia prima a poi rompe gli argini in cui il potere l’ha schiacciata. E tracima. Così accade che anche l’ultimo bastione – la Rai – che ha custodito la bambagia nella quale sono stati allevati i cantori del progressismo, perversa declinazione del post-comunismo, venga meno. Per gli “intellò”, che fanno del sentimentalismo di sinistra la natura divina del Bene, diventa sempre più impegnativo spacciarsi per tedofori della “Verità”. Già, perché, come chiosava George Orwell, non si può stare seduti a scrivere su un iceberg, mentre l’iceberg si sta sciogliendo.

Qualcuno, per minimizzare la portata del cambiamento in atto, riduce il tutto alla necessità di costruire una contro-narrazione per controbilanciare i decenni di pratiche del pensiero unico di sinistra e del mainstream progressista. E se pure fosse soltanto questo, non potremmo che gioirne ugualmente. Il fatto è che in tutti questi anni di consumo del prodotto televisivo pubblico una cosa l’abbiamo imparata: il mondo Rai è l’habitat ideale di una dimensione corporativa e autoreferenziale del lavoro e della professionalità. I suoi dipendenti di punta, ancorché essere di destra o di sinistra, cattolici o laici, progressisti o conservatori, sono in primis devoti proseliti della corporazione radiotelevisiva pubblica. E per quanto si possa essere culturalmente rivali, nutrire gelosie personali o coltivare intenti carrieristici, la regola aurea valida per tutti è: cane non mangia cane.

C’è da scommettere che qualcuno cambierà casacca, mentre qualcun altro attenderà tempi migliori per farlo. E gli aspiranti “martiri”? Nessun problema. Sono lontani i tempi in cui a Roma si mandava al rogo il dissenso. È possibile che per l’eroina di Sarno il Pd stia apparecchiando un posto d’onore al gran ballo delle candidature per le Europee del 2024. In fondo, perché meravigliarsi? Nel mondo della comunicazione, come in quello della politica, valgono le medesime regole che ordinano i processi della meccanica. Ricordate il postulato di Lavoisier, secondo cui “nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”? Perché dovrebbe essere diverso per l’indomita conduttrice, spina nel fianco a spese dei contribuenti della politica di destra? Lucia se ne va? Ce ne faremo una ragione. Soprattutto se la Direzione programmi d’approfondimento della Rai vorrà mandare in onda nella fascia postprandiale del pomeriggio domenicale di Rai3, in sostituzione del morituro Mezz’ora in più, la riedizione del mitico Braccobaldo Show. Non udremo le perle di saggezza donateci in questi anni dalla signora Annunziata, ma le risate sono ugualmente assicurate.

Aggiornato il 31 maggio 2023 alle ore 09:25