Sono romano da centinaia di generazioni. Secondo mio nonno Remo, dai tratti talmente israeliti da meritare una vignetta da Telesio Interlandi, noi viviamo nella Città eterna dai tempi di Giulio Cesare.
Grazie a cotali titoli, posso dissertare su Lgbt etc. etc. visto che la grande e tragica storia romana, in quanto a froci, non s’è fatta mancare niente.
Uso il termine “froci” non per offendere, ma perché preferisco l’italiano all’inglese e soprattutto perché così a Roma si sono sempre chiamati, dall’antico latino “fagot” sino al volgare “frocio”.
Noi quiriti abbiamo il vanto di avere avuto un Cesare che, indossando il velo da sposina (flammeum), coronò il sogno d’amore anale (in modum sollemnium coniugiorum) con un superdotato di nome Pitagora.
Per la transizione – passivo che diventa attivo – reiterò il matrimonio, questa volta in veste di sposo col frocetto di nome Sporo.
Il poeta Orazio montava a turno, nella sua villa sotto il Monte Soratte, fanciulline e fanciullini. Inoltre, il calendario dell’Urbe festeggiava il 25 aprile i femminielli. Per non dire di Giove, adorato come bisessuale.
Insomma, Roma fu ed è la Capitale mondiale dell’omosessualità. Del resto, lo stesso Giove piacque di più ai romani in veste di pederasta.
La saggezza capitolina, insomma, si fonda sulla regola di non chiedere conto ad alcuno dei propri andirivieni da Sodoma a Gomorra. Per così dire, cazzi loro.
Ritengo, dunque, che il difetto imperdonabile di Lgbt etc. etc., a parte l’ignoranza manifesta degli illustri precedenti storici, sia l’aver copiato il progetto velenoso dei comunisti, quello di infiltrarsi nelle postazioni di comando per imporre la propria ideologia e il lessico americanizzante. Penso a certi canali Rai, Mediaset, Sky o alla cinematografia tutta intenta a raccontarci amori impossibili tra Romeo e Giulietto.
Ebbene, contro il politicamente corretto, ben venga il frocio, vade retro gay.
Aggiornato il 29 maggio 2023 alle ore 09:43