In una lunga intervista pubblicata su La Stampa, il noto psicoanalista Massimo Recalcati, uomo di sinistra di incrollabile fede, ci impartisce una lezione sull’antifascismo, arrivando persino a dire che il “fascismo alberga nel cuore di tanti democratici”. Ovviamente, occorre aggiungere, per un personaggio che da giovane ha militato con i compagni di Lotta continua, pur avendo espresso una certa autocritica nell’intervista, l’esperienza di una visione totalitaria della politica non gli fa certo difetto.
Successivamente, dopo aver in qualche modo apprezzato il senso dello Stato mostrato in questi primi mesi di Governo da Giorgia Meloni, dichiarando di essere in disaccordo sulla sua linea, tranne che per la politica estera, ha accusato la premier di essere piuttosto insensibile circa la tutela di alcune minoranze, come le famiglie omogenitoriali.
Dopodiché, entrando nel merito del citato antifascismo, ha dichiarato quanto segue: “Durante la pandemia mi lasciavano dubbioso le posizioni di alcuni intellettuali che parlavano di dittatura sanitaria. Per un senso di responsabilità civile, dunque, non enfatizzerei questo rischio democratico. Anche perché essere democratici è una fatica, uno sforzo, pure per me che sono di sinistra. Il filosofo Deleuze diceva che per essere veramente antifascista bisogna occuparsi del fascista che ognuno porta con sé. In questo senso, la democrazia comporta il lutto del pensiero unico e la faticosa accettazione del pluralismo. Garantire il pluralismo è stato un problema storico dell’antifascismo”.
Capito? Questo genio ci viene a parlare di fascismo, esprimendo la sua perplessità per quegli intellettuali, tra cui mi vengono in mente Giorgio Agamben e Massimo Cacciari, che hanno avanzato critiche più che sensate alle impressionanti restrizioni sanitarie che hanno scandito la vita sociale e democratica italiana per un tempo infinito.
A tale proposito, vale la pena ricordare due delle “democraticissime” prese di posizione dello stesso Recalcati, durante la fase più buia di quel periodo, quando si arrivò a un obbligo vaccinale erga omnes sulla base di un intollerabile ricatto: l’imposizione di un lasciapassare sanitario, alias Green pass. Era il 10 settembre del 2021 e lo psicoanalista, intervenendo al Cosmofarma Business Conference, in quel di Bologna, disse che “il Green pass è una misura civica e vaccinarsi rende parte di una comunità”. Inoltre, sostenendo un insopportabile collettivismo sanitario, aggiunse: “La libertà senza solidarietà non esiste. La salvezza è collettiva”.
In precedenza, siamo ai primi di giugno del 2021, quando il dibattito sull’utilità reale dei vaccini anti-Covid sui giovani era piuttosto infuocato. Recalcati esprime in una frase tutto il suo talebanismo sanitario, se così lo vogliamo definire: “Il vaccino per gli adolescenti è una grande esperienza civile”.
Ora, ciò che colpisce in questi personaggi, che amano giocherellare con l’eterna supercazzola dell’antifascismo, è la totale assenza di pensiero critico che li ha contraddistinti durante la lunga notte di una pandemia a bassa letalità. In quella fase a costoro, abituati a far le pulci a chiunque non appartenga a una qualche parrocchia politica di sinistra, sembra essere sfuggita una agghiacciante tendenza totalitaria che non ha precedenti nella nostra relativamente breve storia repubblicana. E il fatto che tutto questo sia avvenuto sulla base di una presunta tutela della salute pubblica, non sposta di un millimetro la questione. Come disse a suo tempo Primo Levi, che in questo campo non aveva nulla da imparare, ahinoi, “quando in una comunità si è indotti a pensare e ad agire tutti allo stesso modo, allora si può parlare di totalitarismo”.
Esattamente ciò che è accaduto durante l’epopea dell’orrenda dittatura sanitaria che abbiamo subito. E che il nostro nega in radice. Pertanto, egregio Recalcati, da un illustre e entusiastico sostenitore di un siffatto regime sanitario lezioni di antifascismo non le prendiamo.
Aggiornato il 26 maggio 2023 alle ore 19:52