Vi domanderete: con i guai che sta passando l’Italia, che ha una parte del suo territorio sott’acqua, ancora parlate dal caso Roccella e di ciò che è capitato alla ministra alla Famiglia alla Natalità e alle Pari opportunità del Governo Meloni? Sì, è necessario. Perché vi sono molti modi per vivere male il proprio tempo, e la mancanza di libertà è tra questi. In Emilia-Romagna, dove tutto è andato distrutto, si riparte da zero. Le uniche a non poterlo fare sono le 15 vittime del ciclone, per tutti gli altri è già il momento di rimboccarsi le maniche e di ricominciare a vivere. Diversamente, negare a qualcuno il diritto di parola, impedendogli di esprimere liberamente il proprio pensiero, per quanto questo possa apparire sgradito e urticante, è un atto che viola i principi basici della nostra Carta costituzionale e dello Stato democratico nato dai valori della Resistenza antifascista.
A Eugenia Roccella le è capitato di subire una coartazione a opera di un gruppo di contestatori che ha agito con metodo squadristico. La ministra era in quel di Torino – al Salone del Libro – per presentare una sua fatica letteraria. Una famiglia radicale, il titolo. Un testo che nel ricostruire la storia di una famiglia protagonista nell’Italia del Secondo Novecento – il padre di Eugenia, Franco, è stato tra i fondatori del Partito Radicale – dà conto di un travagliato percorso di ripensamento ideologico e valoriale che ha segnato la vita dell’autrice. Sarebbe stato interessante e utile ascoltare dalla viva voce della Roccella le ragioni che l’hanno spinta a scrivere quel libro. Invece, non è stato possibile saperne di più perché all’incontro si sono presentati due gruppi di attiviste – quelle di Extinction Rebellion e di Non una di meno – che le hanno fisicamente impedito di parlare. Prima che la Roccella prendesse la parola le contestatrici hanno cominciato a urlare slogan contro le politiche sulla famiglia e sulla natalità praticate dal Governo di centrodestra, poi hanno inscenato un sit-in per ostacolare lo svolgimento della manifestazione. La ministra ha chiesto loro di avviare un dialogo perché entrambe le parti si confrontassero democraticamente dalle rispettive posizioni. Offerta respinta al mittente. In compenso, le contestatrici hanno letto il solito documento preconfezionato, alla maniera dei gruppi extraparlamentari della sinistra marxista, filosovietica o filocinese, attivi ai tempi del Sessantotto. La ministra, rivolgendosi alle manifestanti da veterofemminista, ha rilanciato chiedendo loro di unirsi alla lotta contro l’utero in affitto, contro la mercificazione del corpo delle donne, contro un mercato razzista dove i figli delle donne nere costano meno di quelle bianche. Niente da fare. A quel punto la platea ha cominciato a protestare e a chiedere che l’incontro venisse svolto come programmato. Ancora niente. È intervenuto il direttore del Salone, Nicola Lagioia, che prima ha accennato un timido tentativo di ricondurre le manifestanti alla ragione: “È un gioco democratico e la democrazia contiene anche la contestazione per cui non perdiamo questa occasione di dialogo. Mandate un vostro delegato a discutere con la ministra. Anche in politica si fa così. State manifestando pacificamente, adesso cercate un dialogo”; poi, pilatescamente, se ne è lavato le mani, dichiarando all’uscita che lui più di tanto non avrebbe potuto fare. Un vero cuor di leone. Risultato finale: Eugenia Roccella non ha potuto parlare. Una cosa del genere vi sembra roba da Paese democratico? E dire che quelli che contestano a Torino, e ovunque vi siano esponenti della destra a rivolgersi ai cittadini, si sciacquano la bocca dalla mattina alla sera con la storia dell’antifascismo?
La realtà è che è tutto vero quando si parla di una deriva autoritaria in Italia. Ciò che si omette di precisare è che tale minaccia non viene da destra, dal Governo Meloni, ma da quel progressismo massimalista, diretto discendente dell’ideologia comunista, che non si arrende all’idea di perdere il potere, cioè di dover mollare la presa illiberale sull’idem sentire dell’opinione pubblica. Il dramma, per la nostra libertà, non è stato solo causato da ciò che è avvenuto al Salone del Libro, ma dal “soccorso rosso” prestato da una pletora di cosiddetti intellettuali organici all’idea egemonica da esercitare sulla sottostante società civile, che è il nerbo dell’ideologia progressista. Costoro, maestri nella manipolazione della verità, sono giunti all’assurdo di negare l’azione squadrista messa in atto dai gruppi femministi e d’incolpare l’aggredita per le sue idee. Abbiamo udito molte cose orrende del tipo “contro i destroidi la conflittualità (leggi “violenza” ndr) è necessaria”; oppure, “ministri e politici sono venuti al Salone per provocare”. E il segretario del Partito Democratico, Elly Schlein, che se l’è presa con gli aggrediti per non essersi scusati con gli aggressori? “Non so come si chiama la forma di un governo che attacca le opposizioni e gli intellettuali ma quantomeno mi sembra autoritaria", queste le sue parole. Ma la cosa più schifosa di tutte è stata quel “se l’è andata a cercare” rivolto al ministro Roccella che dà la misura dell’odio, del sessismo e del razzismo presente nell’agire dei sedicenti custodi dei valori dell’antifascismo. “Se l’è andata a cercare” è la stessa motivazione che taluni avvocati difensori tiravano in ballo nei processi per stupro allo scopo di attenuare le responsabilità dei loro assistiti: “Signor Giudice, l’imputato è stato spinto a fare ciò che ha fatto perché è stato provocato dalle vesti succinte e dalle movenze sinuose e ammiccanti della vittima. Perciò, deve essere assolto perché la ragazza la violenza sessuale se l’è andata a cercare”. Ugualmente, Eugenia Roccella, per le sue idee sull’aborto, sull’utero in affitto e sulla libertà delle donne di poter vivere serenamente la maternità, “se l’è andata a cercare”.
Ora, vi domandiamo: chi è il “fascista” in questa brutta storia? Sarebbe ora, che la gente di destra cominciasse a tirare fuori la testa dal sacco e chiamasse le cose con il loro nome. Ha ragione Eugenia Roccella che, intervenendo al Congresso di Noi Moderati, ha implicitamente evocato le riflessioni di Pier Paolo Pasolini. Il poeta-narratore – e molte altre cose – tra gli anni Sessanta e Settanta dello scorso secolo metteva in guardia da una nuova forma di fascismo, più subdola e insidiosa, intesa come normalità, come codificazione del fondo brutalmente egoista di una società. Una tale postura ideologico-comportamentale Pasolini la definì: il fascismo degli antifascisti. Quale più appropriata etichetta da incollare sulle bocche di questi novelli attentatori della libertà e della democrazia? Riguardo agli autori del gesto di sopraffazione messo in atto a Torino, ci chiediamo perché la Digos, che ne ha identificato e denunciato 29, e la Procura responsabile dell’indagine penale, invece di limitarsi a contestare la sola violenza privata, non si siano mosse a indagare sull’ipotesi di reato che investe la ratio della legge 25 giugno 1993, n. 205 (cosiddetta Legge Mancino) contro i reati d’odio. L’articolo 604-bis del Codice penale, modificato dall’entrata in vigore della Legge Mancino sulla base dell’introduzione del principio della riserva di codice nella materia penale (articolo 2, comma 1, lett. i, D.Lgs. 1° marzo 2018, n. 21), prevede espressamente la reclusione da sei mesi a quattro anni (a) chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Impedire l’esercizio di un diritto costituzionalmente garantito non è il sale della democrazia, come gli intellettuali a supporto delle contestatrici vorrebbero fare credere, ma è il polline originato dalla malapianta dell’odio.
I protagonisti della violenza andata in scena a Torino vivono la reazione a ogni espressione del pensiero di destra non nel perimetro della ordinata e pacifica dialettica democratica ma come una sortita della guerra permanente ingaggiata contro il “nemico ontologico”, per abbattere il quale ogni mezzo, anche violento, trova una giustificazione che è solo tautologica. Noi non grideremo mai al loro indirizzo, come invece i “sinceri democratici” hanno fatto per anni, “l’unico fascista buono è un fascista morto” o “fascisti carogne tornate nelle fogne” includendo d’ufficio nella categoria logico-concettuale del “fascista” tutti coloro che avessero avuto un pensiero critico o dissonante dalla verità dogmatica imposta dal credo progressista. Tuttavia, un più che legittimo “Siete voi i fascisti da combattere” o uno stentoreo “contro i vessilliferi del fascismo degli antifascisti, ora e sempre Resistenza!” ci sta tutto.
Aggiornato il 24 maggio 2023 alle ore 11:30