Secondo un sondaggio realizzato da Termometro politico, attualmente ci sarebbero dieci punti di distanza tra il Partito Democratico di Elly Schlein e Fratelli d’Italia della premier Giorgia Meloni. Inoltre, lo stesso sondaggio vedrebbe in crescita sia la fiducia nella presidente del Consiglio e sia il consenso per i partiti che compongono la sua coalizione.
Ora, come ho già avuto modo di scrivere su queste pagine, si tratta di un sondaggio che non mi stupisce affatto visto ciò che, volente o nolente, rappresenta la segretaria del Pd nell’immaginario collettivo; ovvero una leader molto combattiva ma decisamente poco inclusiva. Una personalità politica da sempre improntata a un certo radicalismo di maniera che, almeno in parte, non sembra aver abbandonato dopo aver preso in mano le redini del Pd. Un radicalismo che per i piccoli partiti, sempre in lotta per la propria sopravvivenza elettorale, rappresenta in un certo qual modo una scelta quasi obbligata, contando proprio sul consenso di quelle nicchie radicali che si disperderebbero, nel caso che queste forze politiche adottassero una linea più inclusiva.
Al contrario, i grandi partiti che ambiscono a guidare il Paese debbono fare l’esatto contrario se intendono raggiungere l’obiettivo, o almeno provarci con buone possibilità di riuscirci. Infatti, come dimostra la metamorfosi che ha interessato proprio il partito di Meloni, il quale man mano che cresceva nei sondaggi attenuava fino quasi ad annullarli i vecchi toni barricaderi, la tendenza a includere istanze prima neppure prese in considerazione costituisce una esigenza improcrastinabile per un grande partito di Governo nelle moderne democrazie liberali. E ciò per il semplice fatto che una volta giunti nella stanza dei bottoni, le differenze sostanziali tra i vari schieramenti in lotta sono sempre più esigue. E, pertanto, riesce a prevalere chi riesce a convincere il corpaccione di cui fa parte il cosiddetto elettore mediano, tendenzialmente moderato, che si è un tantino più affidabili rispetto agli avversari di turno.
In questo senso, occorre riconoscere a Meloni una capacità di adattamento abbastanza stupefacente, essendo riuscita con una certa abilità ad abbandonare gradualmente buona parte dei suoi antichi cavalli di battaglia complottisti ed antieuropei, dal mio punto di vista spesso piuttosto deliranti, quasi senza farsene accorgere. Per quanto riguarda invece Schlein, che a tutta prima appare meno attrezzata della premier, non sono molto convinto che, pur mettendoci tutta la buona volontà, ella riesca a scrollarsi di dosso buona parte del suo ingombrante background di una sinistra di stampo rifondarolo per diventare il leader inclusivo di cui il suo partito avrebbe molto bisogno.
Lasciandole il beneficio d’inventario, al momento non sembra che la sua svolta stia portando in dote un valore aggiunto in termini di voti e di consensi. In tal senso, il vero banco di prova per lei saranno le elezioni europee del prossimo anno.
Aggiornato il 23 maggio 2023 alle ore 09:15