Per chi non se ne fosse accorto domenica e lunedì scorsi si sono recati alle urne circa 4,5milioni di cittadini per rinnovare le amministrazioni di 595 comuni delle regioni a statuto ordinario, mentre in 165 comuni delle regioni a Statuto speciale si andrà alle urne i prossimi 28 e 29 maggio. Tra i comuni al voto anche 13 capoluoghi di provincia. I risultati del primo turno, nelle città-capoluogo, non hanno riservato particolari sorprese. Segno che sulle elezioni comunali, dove maggiormente incide il rapporto di prossimità eletto-elettore, la scossa all’azione di governo non c’è stata. Né in positivo, né in negativo. Anche l’affluenza è stata tutto sommato soddisfacente visto che rispetto al precedente dato del 2018, che fissava la partecipazione al 61,22 per cento, in quest’ultima tornata si è recato alle urne il 59,03 per cento degli aventi diritto. L’aver spalmato il voto su due giorni è servito.
All’esito del primo turno sono stati assegnati al centrodestra 4 capoluoghi (Imperia, Latina, Sondrio, Treviso) e due al centrosinistra (Brescia, Teramo). Occorrerà attendere il secondo turno tra due settimane per sapere chi alla fine si sarà complessivamente aggiudicato questa tornata elettorale. Sia chiaro: si tratta di curiosità accademica, visto che sul terreno della politica nazionale il risultato non modificherà i rapporti di forza esistenti tra i partiti. Non inciderà sulla linea del Governo né potrà essere utilizzato dalle opposizioni per asserire il supposto fallimento della maggioranza di centrodestra.
Comunque, a Imperia il vecchio ras forzista, Claudio Scajola, l’ha spuntata alla grande anche questa volta. Segno che lui e Imperia sono una cosa sola. C’è stato poi un ritorno a casa. La “destrissima” Latina, la mussoliniana Littoria, dopo essersi concessa in tempi recenti una scappatella a sinistra, è tornata all’antico. La candidata sindaco del centrodestra, Matilde Celentano, ha ottenuto il 70,68 per cento. Una percentuale di consenso quasi bulgara che la dice lunga sull’aria che tira dalle parti dell’Agro pontino. A fare da contraltare, a vantaggio del centrosinistra, c’è il voto di Brescia. Lì, Laura Castelletti, vicesindaco dell’uscente Giunta di centrosinistra, ha conseguito il 54,84 per cento dei consensi. Di certo, è stata una poderosa sportellata al volto della Lega che aveva scommesso su un possibile ribaltamento della scena. Che poi a Sondrio abbia vinto il centrodestra non è una notizia. Al più, la notizia ci sarebbe stata a esito elettorale invertito. Il vero problema di questo tipo di elezioni è nella distorsione patologica del secondo turno, dove il ballottaggio si è trasformato in un mezzo di frustrazione del principio democratico, dacché un numero ristretto di votanti finisce per sovvertire la volontà espressa da un maggior numero di cittadini al primo turno. In genere, tale anomalia ha avvantaggiato i candidati del centrosinistra i quali, potendo contare su un mondo progressista capillarmente più strutturato sui territori, sono in grado di assicurarsi al secondo turno la partecipazione di una massa congrua di elettori. Al contrario del centrodestra, il quale notoriamente conta sul voto d’opinione di un pubblico assolutamente svincolato da logiche di appartenenza a partiti o ai corpi intermedi della società. È questa la ragione per la quale, nei 7 ballottaggi da affrontare, il centrodestra, pur essendo in vantaggio in 6 di essi (Ancona, Brindisi, Massa, Pisa, Siena, Terni) – solo a Vincenza il candidato del centrosinistra è avanti – corre il rischio di perdere ovunque. Lo si può definire “paradigma brianzolo”, dalla dinamica elettorale che, lo scorso anno, ha portato il candidato del centrodestra alle Comunali di Monza ad arrivare a un soffio dalla maggioranza assoluta al primo turno e perdere malamente al ballottaggio.
Ma raccontiamo meglio ciò che accadde nel capoluogo della Brianza e perché potrebbe accadere nuovamente da altre parti. Il 16 giugno del 2022, la vittoria del candidato di centrodestra a Monza era data per scontata. Nella terra d’elezione del fenomeno Forza Italia, arricchita da una forte presenza della Lega, Silvio Berlusconi aveva appena compiuto il miracolo di portare la squadra di calcio cittadina ai fasti della massima serie per la prima volta nella storia centenaria del club sportivo. La popolazione festante avrebbe dovuto essergli grata. E lo fu. Ma solo a metà. Al primo turno, il forzista Dario Allevi, sindaco uscente, oggi convertito al “melonismo” di Fratelli d’Italia, ottenne 20.891 voti, pari al 47,12 per cento, contro lo sfidante di centrosinistra, Paolo Pilotto, fermo a 17.767 preferenze (40,08%). Sembrava fatta per Allevi. Invece, no. Accade che al ballottaggio, in luogo del 46,56 per cento dei votanti al primo turno si presenta al secondo turno solo il 36,82 per cento. Pilotto con 18.307 voti – 862 in più di Allevi che si ferma a 17.445 preferenze – vince. È un classico: 36.111 votanti hanno ribaltato la volontà di 45.664 cittadini di cui una parte andati alle urne al primo turno e in gita ai laghi al secondo turno. Si obietterà: se questa è la regola, il torto è degli assenti. Vero, ma se questa è la regola la si può cambiare. Dove sta scritto che il doppio turno debba essere un sistema di voto sacro e inviolabile? Lo sarà per la sinistra che ne ha sempre tratto enorme beneficio. Ciò spiega il perché un’Italia maggioritariamente di destra si ritrovi puntualmente a essere governata sui territori da una marea di sindaci di sinistra. Accadrebbe lo stesso a livello regionale se anche lì vi fosse il sistema del doppio turno. Per fortuna non c’è. Ed è per questo che abbiamo 15 governatori di centrodestra e non il contrario. È un dato antropologico, prepolitico: l’elettore di centrodestra è refrattario all’idea di doversi recare due volte al seggio per esprimersi sulla medesima sfida elettorale. Gli tagliamo la testa? Piuttosto, la politica gli venga incontro. Se questo centrodestra non ha il coraggio di cassare il ballottaggio per le elezioni comunali, almeno provi a temperarlo. Basterebbe modificare una frase del punto 4, articolo 72 (Elezione del sindaco nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti) del Capo III del Testo Unico sull’ordinamento degli enti locali – D.Lgs.267 del 2000. Al posto di “È proclamato eletto sindaco il candidato alla carica che ottiene la maggioranza assoluta dei voti validi” scrivere: “È proclamato eletto sindaco il candidato alla carica che ottiene il 40,01 per cento dei voti validi”. Sarebbe un’affermazione di giustizia democratica, oltre che di buonsenso, introdurre una soglia superata la quale il ballottaggio non sia necessario. Potrebbe rimanere per i casi in cui vi fosse una tale dispersione di voti tra i candidati del primo turno da non dare ad alcuno un pieno mandato di rappresentanza del corpo elettorale. Per una manciata di voti non si può annullare la volontà della maggioranza dei votanti e assegnare il giudizio finale a un più ristretto numero di elettori.
Si prenda l’odierno caso di Pisa. Il candidato del centrodestra, Michele Conti, ha ottenuto il 46,96 per cento dei voti (20.091). Davvero un’inezia dalla maggioranza assoluta, tanto che, a nostro giudizio, gli converrebbe chiedere un riconteggio perché è probabile che trovi negli errori commessi in sede di scrutinio i numeri mancanti per l’elezione al primo turno. Il suo sfidante, Paolo Martinelli della coalizione di sinistra “Tutti insieme appassionatamente – Cinque Stelle compresi”, ha ricevuto 16.534 preferenze (41,12%). Dunque, tra i due vi è stato uno scarto di 3.557 voti, che è significativo se si considera che i votanti sono stati il 56,43 per cento degli aventi diritto. Sebbene legittimo, non rispecchierebbe la volontà democratica un voto di ballottaggio segnato da una scarsa partecipazione che tuttavia ribaltasse il verdetto del primo turno.
Siamo ben consapevoli del fatto che, se il centrodestra provasse a ritoccare il sistema elettorale delle Comunali, la sinistra insorgerebbe gridando al golpe. Allora la domanda è: quanto questo centrodestra crede nella realizzazione della “democrazia decidente”? Urli pure quanto vuole la sinistra, ma è ora di piantarla con le partite elettorali falsate dai bizantinismi dei doppi turni. Non siamo in Champions League, dove c’è l’andata e il ritorno. Una sola tornata elettorale è sufficiente a garantire il pieno rispetto della sovranità popolare. Vince chi prende un voto in più sopra una certa soglia. E amen.
Aggiornato il 18 maggio 2023 alle ore 10:59