La fuga della componente più moderata del Partito Democratico era ovviamente annunciata già all’indomani dell’elezione di Elly Schlein a leader della più grande, almeno per ora, formazione di sinistra. Una sinistra che, occorre sottolineare, con la fusione tra cattolici ed ex-comunisti, più qualche frattaglia di origine socialista e ambientalista, ha sempre cercato di darsi una solida prospettiva di Governo. Ciò partendo dal presupposto fondamentale in una democrazia matura, secondo un concetto espresso dal premio Nobel, James Buchanan, nella sua “Teoria delle scelta pubblica”, nella quale le posizioni politicamente estreme tenderanno sempre a perdere rispetto a quelle più attrattive nei confronti del cosiddetto elettore mediano.
Da qui l’esigenza, molto ben compresa da Giorgia Meloni, di essere sempre più inclusivi man mano che il proprio partito cresce, in modo tale da rendersi credibili per una eventuale responsabilità di Governo. Tant’è che la rapida e necessaria metamorfosi moderata che ha caratterizzato Fratelli d’Italia già dai banchi dell’opposizione, una volta agganciato un trend di crescita che gli avrebbe fatto stravincere le elezioni, ha rappresentato la dimostrazione plastica dell’abilità della sua leader dall’occhio lungo.
In sostanza, Meloni ha rapidamente abbandonato quelle tesi di nicchia, per così dire, basate su un certo complottismo e su un sovranismo anti-europeo e anti-occidentale che, seppur funzionali a gestire il consenso in un partitino del 4-5 per cento, risultano del tutto incompatibili per una forza politica che ambisce a guidare un grande Paese dell’Unione europea, saldamente ancorato nel mondo occidentale.
Una esperienza politicamente molto istruttiva che, tuttavia, non sembra minimamente interessare all’attuale pasionaria dem, tutta intenta a sostenere un radicalismo con varie sfaccettature, tutte rigorosamente di minoranza, che non sembra portare molto lontano. E al di là di quello che raccontano i sondaggi, che vedono in leggera crescita un Pd che, peraltro, aveva raggiunto quasi il suo minimo storico nelle elezioni politiche, la linea massimalista a 360 gradi della Schlein in prospettiva già condanna il suo partito a un ruolo di pura testimonianza, lasciando ad altri il compito di costruire una alternativa di Governo che non può fondarsi sulla proposta di un radicalismo sociale, economico, ambientale e culturale che non sta né in cielo e né in terra.
Ma c’è sempre tempo per cominciare a ragionare seriamente, sempreché se ne abbiano le capacità e la volontà di farlo.
Aggiornato il 28 aprile 2023 alle ore 09:48