Quest’anno i dibattiti dedicati alla celebrazione del 25 Aprile, anniversario della Liberazione dal nazifascismo, si sono concentrati principalmente sui dubbi relativi all’antifascismo dell’attuale Governo e sulla conseguente richiesta a Giorgia Meloni di esprimersi più esplicitamente in merito.
Il giuramento di fedeltà alla Repubblica e alla Costituzione, quindi, non basta più e per molti forse è necessaria una specifica integrazione della Carta. Un po’ come se ci fosse bisogno di chiedere a un poliziotto di dichiarare esplicitamente di essere contrario alla criminalità o a un medico al traffico di organi. Si dia per scontato e non si metta in discussione la loro dirittura morale con interrogativi superflui.
L’affermazione di Leonardo Sciascia secondo cui il più bell’esemplare di fascista in cui ci si possa oggi imbattere è quello del sedicente antifascista unicamente dedito a dare del fascista chi fascista non è sembra essere sempre attuale. Tuttavia, il fatto certo è che in Italia la celebrazione continua a dividere, o perlomeno non unisce, con il risultato che sempre di più si vuol far passare l’idea che la Resistenza l’abbiano fatta solo i partigiani, in particolare quelli comunisti e socialisti.
Il movimento della Resistenza fu caratterizzato dall’impegno unitario di più parti, talvolta di orientamento politico opposto, che vide uniti dallo stesso obiettivo comunisti e socialisti, anarchici e azionisti, liberali e monarchici. Quella Resistenza condotta da forze moderate, spinte dai più nobili ideali, composte da militari, intellettuali, liberali e cattolici passa però in secondo piano, nonostante sotto l’aspetto operativo fu essenziale proprio l’apporto dato dai militari, troppo spesso addirittura dimenticato. Molti di essi, infatti, dopo l’armistizio si diedero alla macchia e andarono ad alimentare le formazioni dei partigiani nelle montagne, non solo quelle autonome ma anche quelle legate ai partiti, molte delle quali si posero sotto il comando di ufficiali dell’esercito.
Furono creati i Gruppi di Combattimento, unità militari a livello di divisione, comandati da generali dell’esercito e migliaia sono i caduti e i feriti con le stellette in quel periodo. Taluni anche dopo il 25 aprile come il colonnello dei carabinieri, Edoardo Alessi, cugino di Sandro Pertini e fondatore dei carabinieri paracadutisti, che da comandante del Gruppo di Sondrio decise di passare alle formazioni partigiane e andò ad aggiungersi alla lista degli eroi decorati e dimenticati della Resistenza valtellinese.
Le sue azioni temerarie compiute al comando della Prima divisione Alpina Valtellina con lealtà e onore militare contribuirono in modo decisivo al successo della guerra di Liberazione in quella regione. Fu ucciso il giorno dopo la Liberazione, forse da fuoco amico, perché si opponeva a certe condotte, ben lontane dal mondo della legalità cui si era sempre ispirato. Militare era anche lo stesso Alfredo Pizzoni, presidente del Comitato nazionale di Liberazione Alta Italia (Clnai). Era un maggiore di Cavalleria pluridecorato al Valore in entrambi i conflitti mondiali.
Innumerevoli sono gli esempi noti e meno noti di medaglie d’oro al valor militare conferite per atti compiuti nella guerra di Liberazione. Paolo Mieli nel suo libro “La terapia dell’oblio” ricorda “che oggi più che nel passato il ricordo si intreccia in modo eccessivo con il presente… e tale aggrovigliamento tra passato e presente ci intossica”.
E sembra proprio così, per cui è difficile voltare pagina rispetto agli eventi del passato, in modo da guardarli da una giusta distanza. In Europa ci hanno provato con quella risoluzione che ha equiparato le stragi dei regimi totalitari comunisti a quelle dei del nazifascismo, ma in Italia forse i tempi non sono ancora maturi. Lo diverranno quando in questa giornata verranno ricordate anche tutte le vittime innocenti di quelle stragi commesse in nome della Liberazione solo sulla base di semplici sospetti o, nel caso di carabinieri e sacerdoti, sotto la spinta di un cieco odio ideologico.
Aggiornato il 26 aprile 2023 alle ore 10:24