In Friuli il centrodestra vince e convince

Il centrodestra ha stravinto alle Regionali in Friuli-Venezia Giulia. Il candidato Massimiliano Fedriga, presidente uscente, passa con una percentuale di consenso significativa (64,24 per cento). La sinistra, che ha riunito nel campo largo Partito Democratico, Movimento Cinque Stelle, Alleanza Verdi-Sinistra, è stata terremotata (28,37 per cento). Alessandro Maran, candidato per il Terzo Polo di Matteo Renzi e Carlo Calenda: non pervenuto (2,73 per cento).

Le vittorie, in genere, hanno molti padri e, mai come in questo caso, è giusto riconoscerlo. Fedriga, nei cinque anni del precedente mandato, ha fatto un ottimo lavoro dimostrando di avere una visione del futuro del suo territorio che i cittadini hanno compreso e apprezzato. Di certo, il candidato della coalizione di centrodestra ha beneficiato dell’onda lunga del gradimento che il Paese sta dimostrando al Governo di Giorgia Meloni. Ed è ugualmente vero che la poca credibilità del sodalizio tra estranei, che ha caratterizzato il rassemblement a sinistra, sia stata un fattore di spinta per la riconferma di Fedriga. I numeri ottenuti dalle singole liste lo attestano. Il Partito Democratico, primo tra quelli dell’opposizione, si piazza quarto nel computo generale con il 16,49 per cento dei voti. É dietro alla Lega (19,02 per cento), a Fratelli d’Italia (18,01 per cento) e alla lista Fedriga presidente (17,77 per cento). I Cinque Stelle si sono letteralmente dissolti (2,4 per cento). Segno che l’ipotesi della terza via, padroneggiata dal qualunquismo populista dell’utopia grillina, alla quale in passato – alle Politiche del 2018, acme del successo pentastellato – i friulani avevano concesso ampio credito (24,57 per cento, Camera dei deputati), non è risultata minimamente attrattiva quando c’è stato da scegliere per il Governo del territorio.

L’esito elettorale in Friuli dimostra che la polarizzazione della lotta politica in due blocchi contrapposti si conferma la declinazione del principio democratico preferita dagli italiani. In tale ottica, il voto che consegna il Terzo Polo, e con esso tutte le suggestioni neo-centriste, all’irrilevanza lo si può definire paradigmatico in vista del consolidamento del bipolarismo per le prossime scadenze elettorali, a eccezione delle Europee, modellate sul sistema proporzionale. I media organici alla sinistra, visti i risultati devastanti per i loro sponsor politici, si sono affrettati a separare le responsabilità della nuova leader del Partito Democratico, l’ultra progressista Elly Schlein, dagli esiti delle urne friulane, arrivando a sostenere, con una spericolata acrobazia argomentativa, che la sconfitta dovesse essere messa nel conto della precedente gestione del partito. Non è così. L’effetto Schlein c’è stato e, verosimilmente, è servito ad arginare uno smottamento che, nelle condizioni pregresse determinate dall’anarchia feudale della stagione lettiana, sarebbe stato ancor più disastroso. La verità è che si sono fronteggiati due modelli di società sostenuti dalle organizzazioni partitiche le quali, nell’ambito dei rispettivi schieramenti, risultano più assertive rispetto alla radicalizzazione del confronto politico. In tale schema, la destra ha vinto e la sinistra ha perso. Tuttavia, il pur nitido risultato non deve indurre i vincitori a cullarsi sugli allori.

C’è un dato, poco rimarcato, che interviene a guastare la festa al centrodestra e a gettare un’ombra sulla brillante vittoria di Fedriga. È quello dell’affluenza. Troppo bassa per passare inosservata e per non destare preoccupazione. Su 1.109.395 aventi diritto al voto si sono recati alle urne in 502.209, cioè il 45,27 per cento del corpo elettorale. È un segnale forte per il neo-governatore, che ha cinque anni a disposizione per convincere più della metà dei suoi concittadini a riappropriarsi della fiducia nella politica. Il Venezia Giulia ha un passato industriale di tutto rispetto al quale vorrebbe rapidamente tornare. Basti pensare che appena qualche anno fa, nel 2015, il Friuli-Venezia Giulia era, dopo il Piemonte e insieme al Veneto e alle Marche, tra le regioni più industrializzate d’Italia (fonte: Prometeia) con un comparto manifatturiero in grado di pesare per il 38 per cento sull’economia regionale e un tessuto imprenditoriale di circa 7mila aziende. Le crisi che si sono susseguite in questi anni hanno colpito duramente l’apparato produttivo friulano.

Oggi cosa chiedono principalmente gli attori della produzione al Governo regionale? Non sussidi e prebende ma un’accelerazione sul versante dell’infrastrutturazione del territorio, dell’innovazione tecnologica, della sburocratizzazione e delle misure atte a rendere più competitive le produzioni locali sui mercati nazionali ed esteri. Tale istanza viene evidenziata dal successo – inatteso per i media – della Lega. Il fatto che il partito di Matteo Salvini sia tornato a essere il più votato nelle terre del confine nord-orientale del Paese ha un preciso significato. Se gli elettori friulani l’avessero voluta punire, senza per questo autolesionisticamente consegnarsi alle follie ultra-progressiste della sinistra, avrebbero votato in massa per Fratelli d’Italia, come è accaduto alle Politiche dello scorso settembre quando il partito di Giorgia Meloni ha ottenuto uno storico 31,30 per cento di consensi contro il 10,95 per cento della Lega. Avrebbero potuto optare per un voto alla lista del presidente Massimiliano Fedriga, con ciò distinguendo platealmente tra l’apprezzamento per la persona del governatore uscente e il partito di cui questi fa parte. Non è accaduto. Perché?

Si può desumere che un’apertura di credito non sia stata soltanto offerta a Fedriga ma che anche Matteo Salvini ne abbia beneficiato. Non il Salvini “capopopolo” sovranista e anti-europeo e neppure il Salvini truce ministro dell’Interno del Conte I, ma il Salvini dal basso profilo, titolare del dicastero delle Infrastrutture del Governo Meloni, che sta dimostrando di far presto e bene il suo mestiere. Il premio concesso dall’elettorato friulano alla coppia Fedriga-Salvini va a innestarsi sull’asse Trieste-Roma per la realizzazione in tempi accelerati di quelle opere pubbliche funzionali alla ripresa economica del territorio regionale. È questo il dato politico centrale che il risultato elettorale ci restituisce. Ed è questa la chiave per sistematizzare una prassi di Governo del centrodestra, non limitandola ai soli territori del Nord ma estendendola all’intero Paese. Sembrerà pure una previsione forzata, ma siamo convinti che in ciò che è accaduto in Friuli la scorsa domenica e lunedì vi siano contenuti i fattori di stabilità che potranno portare il centrodestra a governare una fase storica ultradecennale alla guida della nazione.

Adesso il pallino passa nelle mani di Giorgia Meloni, di Matteo Salvini e, più marginalmente, di Silvio Berlusconi. Sta a loro giocarselo al meglio delle proprie possibilità, lasciando che la sinistra giri a vuoto continuando a fomentare lunari polemiche a sfondo etico-ideologico, assolutamente minoritarie nell’idem sentire degli italiani. Se, in questi anni, l’istanza primaria dell’elettorato, capita dalla Meloni e non dagli altri – alleati o competitori che fossero – poteva riassumersi nella parola “coerenza”, d’ora in avanti il claim appropriato per descrivere le aspettative degli italiani sarà “concretezza”. Il discrimine che segnerà la linea di confine tra il successo e la sconfitta starà nella capacità di fare le cose di cui gli italiani hanno bisogno per rimettersi in piedi e ripartire. Non è già questa una bella notizia? A noi sembra che lo sia davvero.

Aggiornato il 06 aprile 2023 alle ore 10:11