C’è stata bufera, l’altro giorno, alla Camera dei deputati. Un botta-e-risposta al calore bianco tra il ministro della Difesa, Guido Crosetto, e il leader dei Cinque Stelle, Giuseppe Conte. L’occasione: un question time. L’argomento: le forniture militari italiane alla resistenza ucraina.
Conte ha accusato il Governo Meloni di avere le orecchie pronte a raccogliere le istanze della lobby delle armi e di essere non schierato ma “schienato” sulle posizioni della Nato. La sua preoccupazione è che l’Esecutivo si prepari al varo di un sesto decreto per l’invio di armi all’Ucraina senza che vi sia stato prima un confronto politico sul tema. Il capo pentastellato vorrebbe un sostanziale rallentamento della fornitura di equipaggiamento militare all’esercito ucraino, in favore di uno sforzo negoziale di pace tale da guadagnare il centro dell’iniziativa politica occidentale.
La risposta di Crosetto è stata tranchant: “Il Governo, in particolare il ministero della Difesa, sta dando esecuzione a 5 decreti presi da un precedente Governo, il cui principale partito era il partito di Conte”. Della serie: cari grillini, prima li avete votati e adesso che siete all’opposizione fate gli splendidi. Touché! Crosetto ha poi rincarato la dose: “Fino a oggi ogni cosa che è partita dall’Italia, e che partirà nelle prossime settimane e mesi dall’Italia, per essere consegnata all’Ucraina, viene fatta da questo Governo in esecuzione di scelte prese dal precedente Governo, quello dove Conte rappresentava il principale partito di maggioranza”.
Tutto ciò potrebbe definirsi teatrino della politica se non fosse per il fatto che dietro al gioco delle parti si celi un gigantesco problema di squilibrio della politica estera italiana. Il nostro Paese si sta caratterizzando per essere più realista del re nel sostegno all’Ucraina e, soprattutto, per la contrapposizione frontale alla Russia. Questo non va bene. Pur comprendendo le legittime richieste di aiuto dei resistenti ucraini, non dobbiamo dimenticare che la stella polare di ogni Governo deve essere, e rimanere, l’interesse nazionale. Una maggiore cautela nell’approcciare la delicata questione e una maggiore apertura al dialogo con la parte moscovita per ricercare una soluzione di pace sarebbero state preferibili a un comportamento che, è di tutta evidenza, sbilanciato a favore di Kiev. Come se tutte le ragioni fossero da una parte e tutti i torti dall’altra. Un minimo di conoscenza della storia delle relazioni internazionali insegna che non esistono soltanto il bianco e il nero, ma vi sono quelle innumerevoli sfumature di grigio nei cui interstizi spesso va a rintanarsi la soluzione ai contrasti, in apparenza insolubili, tra Stati e tra potenze globali. Dai tempi della crisi dei missili a Cuba una via d’uscita tessuta dal negoziato si è sempre trovata, anche perché l’alternativa è l’escalation bellica che, nel caso di contrapposizione tra potenze di dimensioni globali, significa la Terza guerra mondiale. Perciò, non è possibile che, riguardo al conflitto russo-ucraino, una soluzione diversa dallo scontro bellico non vi sia, e non debba essere ricercata con ogni mezzo. La destra italiana dovrebbe saperlo e non farsi prendere in contropiede dall’opposizione dei Cinque Stelle, che non tarderanno a tirarsi dietro il Partito Democratico della gestione Elly Schlein.
Si obietterà: noi stiamo con gli Stati Uniti, senza tentennamenti. Ma siamo sicuri che gli Stati Uniti stiano con se stessi? E se sì, quali Stati Uniti? La continuazione della guerra a oltranza la vuole l’Amministrazione di Joe Biden, non la maggioranza del popolo americano. E ciò che più dovrebbe contare per il nostro centrodestra, non la vuole l’opposizione repubblicana. Non parliamo solo di Donald Trump, il quale non ha mai fatto mistero di essere ferocemente contrario alla contrapposizione frontale alla Russia. L’ex presidente Usa accusa apertamente il suo successore di aver portato il Paese sull’orlo della Terza guerra mondiale e promette, in caso di vittoria nel 2024, che metterà fine “alla guerra in un giorno, andrò d’accordo con Putin”. Ma non crede al sostegno incondizionato all’Ucraina neanche il governatore della Florida, Ron DeSantis, astro nascente del Gop e potenziale candidato presidenziale repubblicano. Capirete che è un bel problema avere i due candidati Repubblicani, più accreditati per la corsa finale alla Casa Bianca, contrari al sostegno all’Ucraina. DeSantis lo ha detto chiaro: “Gli Stati Uniti hanno molti interessi nazionali vitali, ma il rimanere ulteriormente invischiati nella disputa territoriale tra Ucraina e Russia non è una di queste”.
E anche se l’ala moderata del Partito Repubblicano ha finora sostenuto l’impegno di Biden a favore dell’Ucraina, contestualmente non ha mancato di puntualizzare, attraverso l’ex ambasciatrice Usa all’Onu dell’era trumpiana e anch’essa potenziale candidata alle primarie per le presidenziali, Nikki Haley, che non si possono rilasciare assegni in bianco a Volodymyr Zelensky. Se tale dovesse confermarsi lo scenario futuro in casa repubblicana, invitiamo il Governo, e il premier Giorgia Meloni in particolare, a una pausa di riflessione. Si corre un grosso rischio. Come Italia potremmo trovarci, da qui a poco più di un anno, nell’assurda condizione di venire spiazzati da un presidente repubblicano Usa – che in teoria dovrebbe essere amico della destra italiana – pronto a privilegiare, riguardo al dossier Italia, i rapporti con coloro, come i Cinque Stelle, che oggi dicono sull’Ucraina e sulla guerra più o meno le stesse cose che circolano all’interno del Gop statunitense.
Sarebbe un paradosso, ma è già accaduto. Non dimentichiamo quando, nell’estate del 2019, l’allora presidente Donald Trump fece un esplicito endorsement in favore dell’amico Giuseppi, al secolo Giuseppe Conte, che in Italia preparava il ribaltone per portare, con il Conte bis, la sinistra al Governo. In una non improbabile ricucitura dell’asse Washington-Mosca, in caso di vittoria del candidato repubblicano alle presidenziali statunitensi del 2024, l’Italia finirebbe irrimediabilmente marginalizzata sulla scena internazionale, perdendo anche l’auspicato dividendo politico dal sostengo offerto in forma tanto netta all’Ucraina.
Si dirà: ci resta sempre la Polonia che ci sarà grata per non avere abbandonato quell’oltranzismo anti-russo che da secoli è nelle corde del popolo polacco. Non giudicateci irrispettosi, ma cosa ce ne facciamo dell’apprezzamento polacco? Se il futuro è nelle mani di Dio, il presente lo conosciamo benissimo. E ciò che sappiamo non consente sonni tranquilli. Di sicuro abbiamo cinque certezze. La prima. Dallo scoppio della guerra russo-ucraina il Paese ha subito un complessivo impoverimento. La seconda. L’inflazione ha avuto una vorticosa impennata e non dà segni di calo sostanziale. La terza. Siamo consapevoli che il vero pericolo per la sicurezza dell’Occidente, dai tempi che precedettero la caduta del muro di Berlino, non venga dalla Russia, semmai dalle mire espansioniste del gigante cinese. Finora la politica occidentale è stata in grado di tenere Mosca alle debite distanze da Pechino. Con questa guerra abbiamo mostrato la rara capacità, al limite dell’istinto suicida, di spingere la Russia tra le braccia – o dovremmo dire tra i tentacoli – della Cina, permettendo che si coagulasse un fronte anti-occidentale in grado, per risorse strategiche e finanziarie, di strappare agli Usa l’egemonia sull’intero pianeta. La quarta. Dopo aver per anni osservato, senza fare nulla, l’espansionismo russo e cinese in Africa, siamo alla mercé delle tattiche della guerra ibrida, tra le quali l’uso strumentale dell’arma migratoria, che Mosca mette in atto per destabilizzare gli Stati del continente europeo oggi suoi nemici. La quinta. Il modo con il quale l’Unione europea sta gestendo le ricadute interne ai Paesi membri della crisi scatenata dal conflitto russo-ucraino prova oltre ogni ragionevole dubbio che l’Europa come soggetto politico unitario non esiste.
Ognuno fa da sé e, dove le circostanze lo dovessero richiedere, i più forti sarebbero pronti a passare sul corpo dei più deboli senza pensarci un attimo, pur di fare gli affari propri. Ora, chiediamo al Governo, alla luce di un quadro complessivo che a tratteggiarlo in chiaroscuro ci vuole fantasia, se non sarebbe giunto il momento per un impercettibile, ma sostanziale, cambio di rotta. Sebbene ci fidiamo del timoniere, è da un pezzo che non vediamo più la costa. E la cosa francamente comincia a preoccuparci.
Aggiornato il 03 aprile 2023 alle ore 09:42