“Là giù trovammo una gente dipinta che giva intorno assai con lenti passi, piangendo e nel sembiante stanca e vinta” (Divina Commedia, Inferno, canto XXIII, versi 58-60).
Dipinti lo erano anche l’altro giorno, per le vie di una Firenze simile a quella sesta bolgia dantesca, a professare ipocrisia come se non ci fosse un domani. I cromatismi? I soliti, quelli di sempre: la tonalità rosso sangue a primeggiare e poi il consueto trionfalismo iridato, come a voler sottolineare un irenismo cesellato, in realtà, più con la fonetica che non con la prassi fattuale. Perché a queste latitudini è sempre il buonismo a farla da padrone, ovverosia quello che Fausto Gianfranceschi definiva, a ragione, il lato viscido della cattiveria.
A voler essere generosi potrebbe palesarsi addirittura una duplice chiave di lettura per analizzare il corteo fiorentino. La prima è presto detta: non avendo uno straccio di piattaforma programmatica, sulla quale imbastire una qualche, pur minima, idea del domani, che non sia la solita paccottiglia ideologica, ecco che la nuova (?) sinistra si ritrova attorno all’antifascismo. Cioè attorno a una posizione antitetica verso un qualcosa che non esiste più da almeno un ottantennio. Insomma, hanno come unico punto in comune il nulla. Concetto filosoficamente assai interessante se non fosse che, ai fini pratici, il tutto assume i connotati di una dimensione grottesca del vivere e del pensare.
Tuttavia, è proprio a partire dal fascismo che possiamo giungere al punto di vista più interessante dell’intera vicenda, sempre che non si faccia l’errore di confondere l’interesse con la serietà dell’oggetto. Anni addietro Mino Maccari era solito asserire che i fascisti si dividono in due categorie: i fascisti e gli antifascisti. Ebbene, come sovrascritto, se i primi sono ormai un (brutto) ricordo i secondi ci sono, sono tra di noi e utilizzano gli stessi mezzi dei primi, sia nel pensiero che nell’azione, nonostante riescano a camuffare ben bene il loro operare, mediante per l’appunto un’ipocrisia smaccata e subdola.
Chiedo venia se per un attimo accantono gli strumenti concettuali utili per districarmi nella complessità del sociale, ma la Firenze “antifascista” era costituita, grosso modo, da due tipologie di persone. Gli ignoranti – ma proprio nel senso etimologico del termine, ovvero che ignorano, e tra poco vedremo cosa – e quelli intellettualmente disonesti. Ora, nel ricordare che se anche l’ignoranza non fosse una colpa – di certo non sarebbe mai nemmeno una virtù – mi chiedo e vi chiedo come si possa manifestare, muovendo lo spauracchio del fascismo e andando in tal modo a tramutare quella che è stata una tragedia storica in una farsa da operetta. E probabilmente in questo, ma solo in questo, i nostri possono ritenersi dei bravi adepti del barbuto di Treviri. Ergo, tali partigiani a scoppio ritardato non si rendono conto che sono loro stessi, mediante i loro risibili slogan e i loro paragoni politicamente e culturalmente illogici, a dar luogo a un’operazione di riduzionismo del fascismo. E si sa cosa accade a forza di gridare al lupo al lupo… Poi vengono i disonesti, altresì definiti i chirurghi della cronaca, cioè quelli che, per riprendere un felice editoriale di Alessandro Sallusti, vanno a proporre una ricostruzione del reale di stampo selettiva e particolarmente faziosa. Quelli, per intenderci, che addebitano gli atti di violenza solo ed esclusivamente ai ragazzi di destra e chiudono gli occhi (ma anche bocca e orecchie) quando la delinquenza spadroneggia a sinistra. Ovvero quando i collettivi occupano abusivamente aule universitarie; quando gli estremisti con falce & martello mandano in prognosi riservata studenti che, magari, reputano la collettivizzazione dei mezzi di produzione una boiata pazzesca; quando i centri sociali non vogliono che un Daniele Capezzone parli alla Sapienza in quanto, e ti pareva, pure lui “fascista” (sì, esatto: un liberale e liberista equiparato a un fascista, giusto a rimarcare la volontà di osteggiare chiunque non la pensi come loro); quando, per continuare, un premio Nobel per la Fisica impedisce a Joseph Ratzinger (ripeto: Joseph Ratzinger) di prendere la parola in un consesso accademico; quando dei facinorosi, figli di intolleranze progressiste, impediscono le presentazioni dei libri di Giampaolo Pansa o le memorie di qualche dissidente cubano, in quanto, come ha ripetuto recentemente Elly Schlein, la scuola deve essere un presidio antifascista con tutto quel che ne consegue.
Ed ecco l’ambiguità che ha portato una preside dall’essere quel che è – cioè un’insegnante che ha abusato del proprio ruolo per dare vita a una squallida strumentalizzazione politica – a divenire una paladina civile a difesa dei sacri valori laici della Costituzione. Ripeto: una persona che vuole condannare la violenza, usando però la figura di colui (leggi Antonio Gramsci) che promosse la dittatura di Lenin e la stessa violenza, purché non fosse reazionaria; una persona che, dall’alto della sua formazione storica, fornisce una descrizione risibile sulla genesi del fascismo; una persona, soprattutto, che prendendo spunto da un episodio marginale (seppure logicamente da condannare), ha voluto legare quest’ultimo al riemergere di stagioni ormai andate eppure plasticamente – secondo la prof – incarnate dall’attuale compagine governativa.
In tutta franchezza, non so se esista un diritto all’ignoranza. Certo è che questo non deve essere coltivato a nostre spese, sia in termini monetari che di formazione scolastica. Questo per dire che la preside del liceo fiorentino può anche svolgere le sue elucubrazioni bislacche ma, per favore, non in mio nome e non con le mie tasse. Ergo, libertà educativa subito, buona per le famiglie e gli istituti scolastici inseriti in un sano sistema competitivo. Solo così è possibile sperare in una vera e funzionale scuola pubblica. Pubblica nel senso di utile alla collettività, utile alla collettività nel senso di strategica, per far ripartire l’ascensore sociale ormai da tempo bloccato nel nostro Paese. Forse questa è l’esigenza etica e morale più importante che è scaturita da questa piazza chiassosa e perfino un po’ volgare. Alla politicizzazione pericolosa e al fanatismo di stampo sudamericano la risposta può e deve essere sempre la stessa: +individuo, +libertà, +mercato.
Ps: ai variopinti intellò di Firenze farebbe bene riprendere tra le mani un vocabolario per andare a compulsare questo termine, cioè totalitarismo. Ebbene, mentre i liberali – quorum ego – sono degli antitotalitari tout court, loro, la cosiddetta intellighenzia, avranno mai il coraggio di esserlo?
Aggiornato il 07 marzo 2023 alle ore 12:03