I liberali se ne vanno ma di loro qualcosa rimane. Sì, qualcosa rimane sempre dopo che tutto scorre: il tempo, le ideologie à la page, i paternalismi oligarchici. Qualcosa rimane, seguendo un adagio canoro, tra le pagine chiare e le pagine scure della nostra storia.
Ergo, ben vengano giornate come quella di ieri nella quale è stato ricordato una grande persona ed un grande intellettuale. Un liberale. Anzi: uno che si definiva “semplicemente” liberale. Come a dire che, alla fine di tutto, se si crede davvero alla libertà nella sua essenza originale, non servono altri orpelli lessicali per scolpire, anche foneticamente, una identità politica e culturale.
Ricordi assai preziosi quelli promulgati nella Sala della Regina di Montecitorio. Un vero e proprio flusso, a volte ben confezionato, altre inaspettato e condito con una nostalgia sottesa, tipo quella che provava Proust quando immergeva la madeleine nel tè di tiglio.
L’uomo e le sue idee. Un connubio indissolubile in virtù di una coerenza e di una rettitudine morale temperate solamente dall’ironia di cui solo il Professore era capace.
E poi quella sua “liberalità” così pura, così magnificamente audace e così spudoratamente bella. Tanto che, prima di mettere a lucido le qualità politiche ed economiche del liberismo, Martino teneva, in particolar modo, a porre in evidenza il suo carattere profondamente etico.
Il primato della persona. E poi tutto il resto. Da qui la critica serrata alle degenerazioni dello stato sociale e all’assistenzialismo come grimaldello che annichilisce le virtù umane. Randianamente parlando: le virtù dell’egoismo.
Come ha detto giustamente uno dei qualificati relatori presenti all’evento, questa per Antonio Martino è stata sì una commemorazione, ma anche un nutrimento per il nostro spirito liberale e uno sprone per proseguire la battaglia a favore delle libertà.
Aggiornato il 02 marzo 2023 alle ore 09:40