La conta di 64 migranti annegati – il numero è provvisorio – e di circa 81 superstiti non è una notizia di cronaca, ma l’ennesima tragedia del mare scritta dall’uomo.
La Calabria piange, l’Italia piange. Come potrebbe essere altrimenti? Donne, bambini, uomini risucchiati dalle onde a pochi metri dalla costa jonica del crotonese e vomitati, ormai cadaveri, sulla sabbia del mare d’inverno di Steccato di Cutro, frazione balneare nella provincia di Crotone. Uno spettacolo orribile che non può lasciare indifferenti. Intendiamoci, siamo sempre stati contro l’immigrazione clandestina. Tuttavia, non abbiamo mai smesso di indicare i migranti come vittime e mai come artefici della sporca macchina criminale che porta ricchezza e potere ai trafficanti di esseri umani. E se oggi lo spettacolo della perdita di tante vite umane provoca orrore, con ancora più forza avvertiamo il dovere morale di urlare: basta con l’immigrazione clandestina.
La sinistra, da par suo, cerca di speculare sui corpi esanimi scaricando sul Governo di centrodestra la responsabilità per ciò che è accaduto. Nulla di nuovo sotto il sole che picchia duro sulla testa degli sciacalli. Le Ong si sfregano le mani e dicono: se ci fossimo stati noi non sarebbe successo. Ma se da quelle parti non ci siete mai stati, com’è che adesso vi fate avanti? L’Europa fa quel che le riesce meglio: tace. Nossignori, così non va. Troppo comodo, troppo facile fare la parte dei sepolcri imbiancati. Si vuole il gioco sporco speculando sulla disgrazia? Va bene, giochiamo pure. Tanto per cominciare, ce l’ha l’Unione europea sulla propria coscienza i morti di quest’ultimo naufragio, perché da anni blatera di politiche migratorie europee lungimiranti e globali delle quali non vi è alcuna traccia nella realtà. Non l’Italia, che in questa specifica vicenda semmai è parte lesa. Già, perché è bene dirsi le cose come stanno, senza ipocrisia e reticenze. I morti recuperati dal mare, come i pochi superstiti, viaggiavano su un barcone proveniente non dalla solita Libia dirimpettaia, ma dalla lontana Turchia. L’imbarcazione si è spezzata in due, probabilmente infrangendosi sugli scogli contro cui era stata scaraventata dalla furia del mare in tempesta. Dalle prime ricostruzioni sembra che il barcone fosse un caicco. Stiamo parlando di un due-alberi a vela, tipica imbarcazione turca di notevole larghezza rispetto alla struttura della barca a vela classica. Il caicco nasce come imbarcazione da pesca e da trasporto delle merci e ciò spiega l’ampia capacità di stivaggio sfruttata per trasportare un gran numero di persone navigando su tratte di mare lunghe. Non è tipologia di barca che possa essere pilotata da inesperti ma necessita di equipaggio, anche se in numero ridotto. Il porto di partenza della barca affondata pare sia stato quello di Smirne, città turca sull’Egeo. La traversata, stimata in quattro giorni di navigazione alla velocità media di crociera di 8 nodi orari, copre, in condizioni meteo-marine favorevoli, circa 757 miglia nautiche. La rotta è particolarmente complessa perché prevede la circumnavigazione di un dedalo di isole greche. Da qui partono le domande.
Perché un viaggio tanto lungo e rischioso quando l’obiettivo principale dei migranti illegali è di mettere piede in Europa il prima possibile? Nella traversata il caicco ha solcato o lambito le acque territoriali di almeno due Paesi Ue, nell’ordine: Grecia, Malta. Visto che il meteo segnalava forti perturbazioni nell’area del Mar Egeo e del Mediterraneo centrale, perché non approdare il più rapidamente possibile in uno dei cento porti disseminati sulla rotta seguita dall’imbarcazione? Perché invece proprio l’Italia? E perché la Calabria a ogni costo? C’entra qualcosa l’alto costo del viaggio pagato dai migranti? In un’inchiesta di Open Migration si asserisce che, per tali tipi di viaggi dalla costa turca, eufemisticamente definiti di “prima classe” per le caratteristiche di efficienza delle unità navali impiegate per il trasporto, “un biglietto per adulti costa quasi 10mila dollari e 4.500 dollari per i bambini”. C’entra qualcosa la zona di destinazione degli immigrati? La Calabria, perché nel business una fetta del guadagno spetta alla criminalità organizzata calabrese? E se così fosse, è solo un caso che sulla rotta calabro-turca non vi siano navi delle Ong a effettuare servizio di ricerca e di soccorso in mare dei naufraghi? Eppure, secondo dati del ministero dell’Interno citati da Repubblica, “nel 2022 solo in Calabria sono sbarcate 18mila persone, il 15 per cento degli arrivi complessivi in Italia, il doppio rispetto ai 9.600 del 2021”.
Occorrevano i morti di queste ore per scoprire l’esistenza di una redditizia rotta turco-calabrese di tutto comfort per il traffico di esseri umani dal Vicino Oriente all’Europa? Il mare era grosso da giorni, tutte le autorità marittime dei Paesi le cui acque sono state solcate dal caicco affondato a Steccato di Cutro gli avrebbero dovuto prestare soccorso. Invece lo hanno lasciato andare, perché? Forse perché Grecia e Malta attuano rigorose politiche di respingimento dei migranti illegali? O forse perché è regola non scritta dell’Ue che tutta la disperazione del mondo debba finire nell’hotspot Italia e lì mettere le tende? Se così fosse, molte cose troverebbero coerente spiegazione: il silenzio odierno dei partner europei, le crisi isteriche dei governanti francesi per quell’unica volta che dovettero “accogliere” in un proprio porto una nave delle Ong con 234 migranti a bordo. L’Unione europea paga più che profumatamente il Governo di Ankara perché tenga chiusa la rotta balcanica alle migrazioni. Evidentemente, la polizza d’assicurazione contro le ondate migratorie che l’Europa paga all’autocrate Recep Tayyip Erdoğan non copre dai rischi di navi “negriere” sulle tratte marittime dalle coste turche. Per quella bisognerebbe pattuire un compenso a parte?
Finora Giorgia Meloni, nell’affrontare il dossier “rapporti con l’Ue”, l’ha toccata piano. Niente voce grossa e neppure pugni sbattuti sul tavolo. D’accordo per l’approccio soft, ma cosa è cambiato nella risposta di Bruxelles rispetto a prima? Nulla: le promesse sono rimaste promesse. Nessun atto concreto che modifichi lo status quo. La verità è che in Europa sono in troppi a pensare che l’immigrazione dal Sud del mondo debba essere un problema dell’Italia e di nessun altro dei partner. Nei Paesi del Nord del continente, gli stessi che ci chiedono di svenarci per aiutare l’Ucraina a tenere lontano i russi dai loro confini, è radicata la convinzione che l’Unione sia un posto dov’è consentito il lusso di tenersi la moglie ubriaca e, nel contempo, la botte piena. Quand’è che si comincerà a fare sul serio mettendo qualche bastone negli ingranaggi degli altrui interessi? Quand’è che si comincerà con un bel po’ di no al posto di altrettanti sì alle pretese dei partner? Quand’è che si comincerà a restituire ai vari mittenti l’accusa di essere noi italiani gli insensibili carnefici dei poveri migranti?
Fino alle elezioni politiche dello scorso settembre a destra volentieri si fantasticava di improbabili blocchi navali per risolvere il problema dell’immigrazione clandestina dal mare. Ora, non pretendiamo che il Viminale faccia miracoli ma impegnarsi di più per spezzare il loop ideologico, che ci vuole condannati a vita e senza i benefici di legge a subire il fenomeno migratorio, ci potrebbe stare per essere nei fatti, e non solo nelle parole, un Paese che guarda a destra? La buttiamo lì, visto che comunque vada tocca a noi, custodi coatti del “cimitero Mediterraneo”, di fare risorgere la pietà per il mortifero destino di un’umanità dolente e di piangere – noi, a corto di lacrime e di pazienza – morti dei quali a nessun’altro in Europa freghi qualcosa.
Aggiornato il 01 marzo 2023 alle ore 11:18