Non capisco, ma mi adeguo

Faccio mio il celebre tormentone ideato da Maurizio Ferrini per il programma televisivo “Quelli della notte”, condotto da Renzo Arbore. Il comico cesenate faceva dire a un suo improbabile personaggio – un venditore di pedalò di incrollabile fede comunista – un risoluto “non capisco, ma mi adeguo” in segno di cieca obbedienza a quelle direttive del Partito che pur gli risultavano incomprensibili.

Chi l’avrebbe mai detto? Al cospetto dell’approvazione definitiva della Camera dei deputati a larga maggioranza – 215 voti a favore, 46 contrari – del testo di legge che proroga fino al 31 dicembre 2023 l’invio di armi italiane a Kiev, sono io, anticomunista di ferro, a dover pronunciare il fatidico “non capisco, ma mi adeguo”. Già, mi adeguo. Perché il copyright dell’affermazione di fede “my country, right or wrong” non appartiene in esclusiva al cittadino-modello patriota statunitense. “Giusto o sbagliato, è il mio Paese” appartiene anche a me, alla mia essenza di italiano che disprezza i quaquaraquà e si sforza di comprendere fino in fondo il senso dell’onore e il corrispondente senso dell’onta. I vertici politici del nostro Paese hanno deciso di stare al fianco della causa ucraina contro l’aggressione russa, senza riserva alcuna. Se è questo che vogliono i rappresentanti del popolo di una libera democrazia parlamentare, allora è ciò che voglio anch’io. Tuttavia, essendo uno spirito libero, avrò pure il diritto di dire che valuto tale scelta profondamente sbagliata e foriera di gravi pericoli per la nazione?

La cosa che mi fa più rabbia è di trovarmi, in questa critica, in compagnia di una varia umanità popolata di pseudopacifisti, epigoni della peggiore tradizione comunista, di forcaioli di ogni risma, di multiculturalisti, di contiani con trascorsi grillini e di squadristi dei centri sociali che disprezzo con tutte le mie forze. Non ne vado fiero, ma tant’è. Comunque, se si dovrà combattere la Russia – questo accadrà tra qualche tempo e più avanti spiegherò il perché – lo farò da leale patriota. Nondimeno, lo farò con una grande sofferenza nel cuore, perché muovere in armi contro una nazione e un popolo sui quali ho riposto grande speranza, resta un fallimento ideale del quale non posso certo gioire.

In questi mesi di guerra ho sperato ardentemente che una soluzione negoziale venisse trovata. Ma si trattava dell’illusione dell’uomo qualunque. I governi alleati hanno deciso da subito che l’aggressione russa all’Ucraina dovesse essere l’occasione per chiudere i conti con il “nemico”. Da tale intento è scaturita l’abbacinante teoria secondo la quale solo il riequilibrio sul campo delle forze belligeranti avrebbe consentito l’avvio di un serio negoziato di pace. Così è cominciata a circolare una folle frase a effetto, che dà la misura dell’insensatezza della posizione oltranzista dell’Occidente: “Se la Russia ferma le ostilità, finisce la guerra; se l’Ucraina ferma le ostilità, finisce l’Ucraina”. Suona bene come battuta, ma vi rendete conte che è un’idiozia? Per onestà intellettuale, bisognerebbe aggiungere: se non si ferma la guerra, finisce il mondo. Perché è ciò che accadrà con l’incremento delle forniture militari all’Ucraina. Armi sempre più efficaci e performanti non solo per la difesa ma anche per il contrattacco, in vista dell’offensiva di primavera circa la riconquista dei territori occupati che, tuttavia, difficilmente porterà i russi alla resa.

Verosimilmente, spingerà Mosca ad alzare l’asticella con un invio massiccio di truppe fresche al fronte e con l’impiego di sistemi d’arma finora non utilizzati. Al riguardo, condivido e sottoscrivo la considerazione fatta da Lucio Caracciolo su Limes: “Solo gli Stati Uniti sono in grado di imporre la fine del conflitto. Prima o poi l’invio periodico e limitato di armi occidentali ai combattenti ucraini non basterà più. Bisognerà considerare l’invio di nostre truppe in Ucraina. A quel punto ci scopriremo di fronte alla scelta che abbiamo finora evitato di considerare: fare davvero e direttamente la guerra alla Russia oppure lasciare che la Russia prevalga”.

Non saprei dirlo meglio. L’avvitarsi in una escalation bellica imporrà all’alleanza occidentale una scelta definitiva: dopo le armi, inviare sul campo le proprie truppe. Sarà inevitabile per il semplice fatto che tra qualche mese non vi saranno sufficienti unità militari ucraine in grado di utilizzare la massa di armamenti che stanno confluendo nel Paese. Si prenda il caso della sofferta decisione tedesca di acconsentire all’invio dei carri armati Leopard-2, richiesti da Kiev. I vertici ucraini ne vorrebbero almeno 300. Ora, considerato che, come ci informa Gianandrea Gaiani dalle colonne di Analisi Difesa, i tedeschi dispongono di 260 Leopard 2A7 Plus di cui 160 operativi, cosa dovrebbero fare? Privarsi totalmente della difesa di terra? La soluzione è nel coinvolgere nella fornitura gli Stati che, in passato, hanno acquistato i Leopard dalla Germania. La Polonia ha 142 Leopard 2A4, 105 Leopard 2A5; la Grecia ha 170 Leopard 2A6Hel, 183 Leopard 2A4, ma si rifiuta di cederli; la Spagna ha 108 Leopard 2A4, 223 Leopard 2A5E, ma i modelli 2A4 furono acquistati di seconda mano dalla Germania e sono attualmente in pessime condizioni; la Svezia ha 9 Strv-121 (Leopard 2A4), 120 Strv-122 Leopard 2A5, anche in questo caso i veicoli della tipologia di carro Leopard 2A4 è stata acquistata di seconda mano.

Ammettiamo pure che tutti questi Paesi rispondano affermativamente a Kiev. Senza la movimentazione dei veicoli da combattimento sulle brevi distanze, chi difenderà l’Europa da un attacco frontale dell’esercito russo? La Casa Bianca ha dato il via libera all’invio in Ucraina di 31 carri armati Abrams, che insieme ai Leopard tedeschi, ai Leclerc francesi e ai Challenger 2 britannici, formeranno due battaglioni carri da impiegare in tempi relativamente brevi nel teatro di guerra ucraino. Gli M1 Abrams sono carri armati potentissimi, ad alta componente tecnologica, i migliori al mondo nel loro genere. Ma se non sono i soldati americani a pilotarli, chi li manovra? Per farlo gli ucraini avrebbero bisogno di un lungo periodo di addestramento.

Intanto, Mosca ha fatto sapere che è pronta a distruggere l’arma statunitense. Se dovesse accadere, Washington potrebbe consentirsi una tale umiliazione? Il caso dei tank è solo un esempio per dimostrare che non c’è via d’uscita all’escalation diversa dall’entrata in guerra della Nato. Qualche mestatore, camuffato da esperto in relazioni internazionali, si è spinto a dire che la pressione occidentale causerà il collasso della dirigenza russa fino all’eliminazione fisica di Vladimir Putin. Ma questi geni della strategia dove hanno il cervello? Davvero pensano che al posto di Putin s’insedierebbe al Cremlino un Governo di salute pubblica, pronto a dichiarare la resa, ad abbondare le terre conquistate, Crimea compresa, e ad accettare le dure condizioni di pace imposte dalle forze vincitrici? Si trascura il dettaglio che l’impero russo detenga oltre 6mila testati nucleari di pronto impiego. Se Putin cadrà, potrà andare solo peggio. Il suo posto lo prenderanno i “falchi” che non aspettano altro che premere il bottone dell’olocausto nucleare.

Per tutte queste ragioni io dico: prepariamoci alla guerra. Ma, visti i tragici precedenti del Secondo conflitto bellico, la vera domanda che dobbiamo porci è: l’Italia è pronta ad affrontare la Terza guerra mondiale? A lume di naso, risponderei: no, non lo è. Comunque, in vista di questa possibilità il cui inverarsi non dipende certo da noi, la prima cosa da fare è precipitarsi a Bruxelles a spiegare a quelle teste di tecnocrati che vivono fuori dal mondo un concetto elementare: in uno stato di guerra, la spesa per il riarmamento e il munizionamento dei Paesi coinvolti deve essere esclusa dal patto di stabilità.

Per quanto riguarda l’Italia, l’unica nota di ottimismo viene dal fatto che il ministro della Difesa, Guido Crosetto, abbia le idee chiare sul cambiamento della struttura delle Forze armate, in particolare delle “strutture di vertice, che elimini le duplicazioni non dettate da esigenze di ridondanze operative e che consenta il miglioramento della qualità e del contenimento dei tempi nei processi di lavoro. Occorre poi unificare i settori e i servizi comuni alle diverse forze armate”. Undici anni di cultura progressista e pseudopacifista al potere hanno lasciato il segno negli assetti e nella filosofia d’intervento delle nostre Forze armate. Solitamente, quando elaboro un’opinione da fornire ai lettori, mi preoccupo che sia aderente alla realtà. Non fuorviare chi legge è il dovere etico e deontologico di chi scrive. Questa volta, invece, spero di tutto cuore di aver preso una cantonata e di aver tracciato uno scenario sbagliato. Mille, centomila volte meglio essere spernacchiato per il pessimismo cosmico, quasi leopardiano, mostrato in queste righe che trovarmi a scoprire un giorno di aver avuto ragione. Perché non provo alcuna morbosa eccitazione nel sapere che qualcuno potrà incidere a epitaffio sulla mia lapide “aveva ragione lui”.

Aggiornato il 30 gennaio 2023 alle ore 09:55