Può sembrare un piccolo evento la visita che stamane il nuovo ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, renderà alla casa di Benedetto Croce, a Napoli. Invece è un segnale che, se avrà dei seguiti, potrà rivelarsi denso di significati politici e culturali. È un segnale politico, perché la visita del ministro alla casa dell’autore del “Manifesto degli intellettuali antifascisti” del 1925 avviene proprio nel giorno in cui 100 anni fa, il 28 ottobre del 1922, avveniva la “marcia su Roma”. Quindi, quella visita appare come un modo per sostituire all’antifascismo retorico e filocomunista un antifascismo di tipo nuovo. Un antifascismo concreto, liberale e democratico, anti-totalitario e, quindi, anche anti-comunista.

È un importante segnale politico, anche perché sembra indicare la volontà di Fratelli d’Italia, alla cui area il ministro Sangiuliano appartiene, e dell’intero centrodestra di caratterizzarsi come partito o polo “liberal-conservatore” (di massa), più che come un classico partito puramente conservatore.

È poi un segnale culturale, oltre che politico, perché sembra farci tornare e ricongiungere al giugno del 1944, quando in Italia si cominciò a uccidere, per mano comunista, la tradizione liberale e umanistica della cultura italiana e europea che si era concentrata in Croce, in quanto erede di Niccolò Machiavelli, di Giambattista Vico, di Francesco de Sanctis, oltre che dell’intero umanesimo “spiritualista” e, in senso lato, “idealista” europeo.

Fu infatti nel giugno del 1944 – e non a caso – che Palmiro Togliatti, da poco tornato in Italia dalla Russia, volle dedicare il suo primo editoriale sul primo numero della neonata rivista “Rinascita” a un duro attacco, anche personale, a Benedetto Croce. In quello scritto, Togliatti oltre a esprimere giudizi grossolani e sprezzanti sulle opere di Croce, insinuava che questi fosse stato risparmiato e tollerato dal regime fascista grazie a uno “scambio” e, cioè, come ricompensa per i suoi giudizi radicalmente critici sul marxismo e sul comunismo sia teorico, sia pratico. Croce, che faceva allora parte del Governo, reagì energicamente portando la questione in Consiglio dei ministri. Togliatti fu costretto a pubblicare una rettifica sul numero successivo della stessa rivista. Ma ormai il suo segnale, indirizzato a tutti gli uomini di cultura italiani, anche a quelli fascisti, era chiaro ed era stato da quelli ben recepito. Anche perché quel segnale seguiva di soli circa due mesi l’omicidio “esemplare” di Giovanni Gentile (15 aprile 1944), sconfessato dal Cln (Comitato di liberazione nazionale), ma rivendicato con orgoglio dai soli comunisti.

Croce, la sua filosofia critica della “distinzione” tra vero e utile, dell’autonomia della cultura e della scienza dalla politica (che non escludeva reciproche interferenze e contaminazioni) dovevano essere estirpati, rimossi e dimenticati dalla cultura nazionale. Il suo spiritualismo doveva essere sostituito dal materialismo (storico, teorico e pratico), la sua religione della libertà doveva essere sostituita dalla religione del partito, il suo patriottismo risorgimentalista doveva essere sostituito da quello della madrepatria sovietica del socialismo reale. L’intellettuale autonomo doveva essere sostituito dal gramsciano intellettuale organico, militarizzato e usato per “suonare il piffero della rivoluzione” e, cioè, per l’immediato, dalla gramsciana egemonia (una rivoluzione culturale) in Italia e in Occidente. E così fu.

Molti intellettuali italiani intesero il segnale e aderirono all’appello di Togliatti che prometteva loro un lavacro, la sopravvivenza fisica e professionale. Anzi, una protezione politica, un ruolo nella vita e nelle istituzioni culturali. Molti intellettuali fascisti trovarono più breve, oltre che più rassicurante, l’approdo al comunismo che quello al liberalismo. Uno dei prezzi da pagare era la diffamazione e l’oblio di Croce. Nelle scuole, nelle università, nei libri e sui giornali Croce fu prima avversato, diffamato in ogni modo e poi soprattutto ignorato dagli intellettuali gramsciani e togliattiani, divenuti rapidamente una moltitudine egemone. Le giovani generazioni di studenti furono indotte a ignorare i suoi scritti e la sua figura di grande intellettuale liberale e di testimone di moralità e di libertà anche durante il regime fascista. Divenne obsoleta e sospetta la parola “spirito”, con cui Croce designava la lunga storia delle creazioni spirituali dell’umanità in Europa ed in Occidente.

La storia e la politica non dovevano essere più intese come “storia della libertà”, ma come pura storia “materialista” ed economicista della lotta di classe e della presunta lunga marcia dell’umanità verso il comunismo, inteso come gloriosa “fine della storia”. L’aggettivo “crociano” divenne un epiteto e un sinonimo non solo di vecchio e stantio, di “retrogrado e superato” da lasciare in soffitta, ma anche di ignobile in quanto espressione sovrastrutturale di interessi borghesi e anti-popolari. La denigrazione e l’oblio di Croce serviva anche a negare l’antifascismo liberale e democratico, a identificare tutto l’antifascismo con la resistenza dei partigiani comunisti. E a sancire che l’anticomunismo e persino l’autonomia degli intellettuali fossero una specie di crimine: la cultura o era “impegnata” a sinistra e filocomunista o non era cultura.

Era vero il contrario: si ostracizzava e dimenticava Croce e l’intera tradizione umanistica liberale, cristiana, italiana ed europea, per sostituirlo con una serie di (sotto)culture “negative” e “contro”: “anti-capitalismo“, “anti-liberalismo”, “anti-tradizionalismo”, “anti-occidentalismo”, “anti-americanismo”, tutte riassunte insieme in un ambiguo “anti-fascismo”, che si rifiutava di condannare anche l’orrore illiberale del totalitarismo comunista, presentando anzi quest’ultimo come il “regno della vera libertà”. Un delirio di menzogne.

La diffamazione e l’oblio di Croce, innescati nel giugno del 1944, con le calunnie di Togliatti e degli intellettuali organici hanno rappresentato una delle prime manifestazioni ante litteram della “cancel culture” in versione italiana oltre che una delle manifestazioni più rilevanti del tradimento degli intellettuali italiani (ed europei) a metà del Novecento. Occorre, dunque, ritornare a Benedetto Croce, riproporlo alle giovani generazioni, ai lettori dei giornali e al pubblico dei media, che non lo conoscono perché è stato sottratto loro dalla egemonia culturale e dalla protervia distruttiva e nichilista dei comunisti e dei loro araldi togliattiani e gramsciani, durata quasi 80 anni. Bisogna perciò ripassare dalla casa di Benedetto Croce, per riprendere il cammino della cultura liberale italiana ed europea, amputata dell’apporto di Croce sin da quel giugno 1944, quando Croce e la sua religione della libertà furono sloggiati dalla cultura italiana ed europea, per sostituirlo con un nichilismo antiumanistico, vacuo e distruttivo. Bisogna che Croce ritorni a casa sua, qui in Italia e in Europa, sostituendovi i fantasmi dei violenti usurpatori e dei loro ambigui epigoni.

Aggiornato il 29 ottobre 2022 alle ore 10:23